La musica palestinese come resistenza culturale

di Khalid W. Shomali*

Prima di parlare della resistenza culturale “musicale” in Palestina e il suo ruolo importante nella società palestinese, è necessario chiarire la definizione di “resistenza culturale”. Una delle definizioni più esplicative per la resistenza culturale è stata elaborata da Stephen Duncombe: “La resistenza culturale è la pratica di usare [..] la cultura per contestare e combattere il potere dominante, spesso costruendo una visione diversa del mondo da quella ufficiale” (Duncombe, 2002, p. 5).

Nel caso palestinese ad esempio, il potere dominante è un potere esterno (lo Stato di Israele) che assume la forma di un’occupazione militare violenta e discriminatoria, che compie degli atti tipici di un “apartheid”: il muro di separazione è uno dei risultati più noti al mondo dello strisciante razzismo nei confronti dei palestinesi. Questo potere controlla anche l’Autorità Palestinese che era stata creata direttamente dopo gli Accordi di Oslo nel 1993.

La resistenza, in sé, indica qualsiasi atto di “opposizione”, in qualsiasi ambito, inclusi naturalmente quello fisico e quello scientifico. Ciò che ci interessa è il rapporto tra “opposizione” e “cultura” e come quest’ultima viene usata nella pratica di opposizione.

Il significato che porta con sé la cultura in generale è molto ampio e comprende la dimensione sociale, storica e antropologica.

È sufficiente chiarire in senso antropologico la definizione proposta da Edward Tylor: “La cultura, o civiltà, intesa nel suo senso etnografico più ampio, è quell’insieme complesso che include le conoscenze, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro di una società” (Tylor, 1920, p. 1).

Il pensiero di Edward Said

Edward Said (1935-2003) scrittore palestinese naturalizzato statunitense e di grande fama a livello internazionale, noto per il suo “Orientalismo”,  parla della resistenza culturale e del ruolo dell’intellettuale in questo processo.

Said vede la resistenza palestinese come caso tipico in cui la cultura può assumere un ruolo importante nel movimento di liberazione. La resistenza palestinese, sottolinea Said, “comprende un quadro completo di forme di espressione culturale e che è diventato una parte della consistenza dell’identità palestinese” (Said, 2007, p. 143). Said afferma nei suoi scritti che l’intellettuale è veicolo di un messaggio personale, un’energia inesauribile. Per lui, l’intellettuale è inseparabile dal resistente e  deve rappresentare la liberazione e l’illuminazione.

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Said divide la resistenza in due parti o processi: da un lato, la resistenza come mezzo per recuperare la terra occupata, e dall’altro come resistenza “ideologica” – quella che ci interessa, ovviamente – definendola come “l’insistenza di vedere la storia della società completa e integrata e di cercare un metodo alternativo per vedere la storia umana che cancelli le barriere tra le culture”. Intende dire che la resistenza culturale non è solo un’auto-liberazione, ma anche la realizzazione della propria identità (Al-Bayyari, 2012).

Soprattutto quando l’identità politica si trova sotto minaccia, Said crede che la cultura sia un “mezzo” per resistere ai tentativi di cancellazione e rimozione: “La cultura è una forma di memoria contro l’oblio” ( Said, 2007, p.143).

 Altre Opinioni

Rania Elias, la direttrice dell’Istituto Yabous per la produzione artistica, scrive: “Lo Stato sionista tenta di distruggere la nostra identità e ostacolare la nostra crescita culturale” (Elias, 2010, p.10). Elias parla dell’importanza di individuare un programma e di avere una visione stabile del futuro allo scopo di salvare l’identità nazionale palestinese, concentrandosi sulla salvaguardia della storia in ogni modo possibile.  Abdel Fattah Abu Srour, il fondatore del teatro Al-Rowwad, prende l’esempio del teatro come mezzo di resistenza pacifica, e dice che “il teatro è il mezzo più straordinario per l’auto-espressione dell’individuo, […]e il teatro soddisfa un’esigenza interna della società palestinese” (in Wiles, 2010, p.16).

Il teatro è intimamente legato alla musica. La musica qui è rappresentata da canzoni accompagnate da danze folcloristiche palestinesi come la dabka, che riflette la vita palestinese e il suo patrimonio.  Queste danze di solito sono parte integrante di ogni opera teatrale.

La musica palestinese popolare

Prima di occuparci della musica di resistenza nella società palestinese, è importante studiare la struttura e le forme della musica palestinese stessa. Una delle forme più principali è la canzone popolare. Quando si parla di “canzone popolare” si intende in un modo o nell’altro la musica del folklore palestinese. Il folklore – l’insieme della cultura popolare – è la parte inseparabile della cultura nazionale, anzi, la faccia più espressiva. Il popolo palestinese abbraccia fortemente tutte le forme di folklore tradizionale come mezzo di resistenza, come arma contro i tentativi israeliane di distruggerlo, soprattutto attraverso il processo di  “giudaizzazione”.

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La canzone popolare palestinese è una espressione manifesta della vita palestinese nella storia e perciò ha avuto sempre più importanza nelle attività culturali. Ahmad Musa, ricercatore notevole in questo campo, individua nella canzone popolare palestinese le seguenti caratteristiche (Wafa, 2011):

1) La brevità delle frasi: la frase musicale nella canzone popolare è molto corta, di solito 8 misure o battute, in casi eccezionali al massimo 12, e le frasi si ripetono parecchie volte e la particolarità consiste nella bellezza crescente ogni volta si ripete.

2) La dimensione melodica: la dimensione è la distanza fra le voci. Nelle melodie popolari palestinesi le distanze sono semplici e corte, di solito rinchiuse in un’ottava.

3) La natura del Maqam: il Maqam è il sistema delle modes melodiche nella musica tradizionale araba. Il maqam dominante nelle canzoni popolari palestinesi è Al bayyati. Si usano generalmente i maqam con cui è possibile e facile cantare.

4) L’attrattività melodica: l’attrattività sta nella direzione discendente o bassa. Questa caratteristica è condivisa con la tradizione musicale turca e ungherese, al contrario delle melodie scandinave e tedesche.

Una forma comune della canzone popolare palestinese è il Mawwal. Gli studiosi concordano che il mawwal è uan forma comune in tutto il mondo arabo. Il mawwal generalmente parla di diverse questioni e esprime diverse sentimenti, mischia l’amore, la nostalgia, l’attaccamento alla terra. Altre forme importanti sono i “Ataaba” e i “Mijana”. Sia il Mawwal che Ataaba e Mijana sono forme di poesia improvvisata e sono state utilizzate dai palestinesi dal 1960, per esprimere lo sdegno e il dolore per la demolizione di villaggi palestinesi da parte degli israeliani.

La musica tradizionale palestinese è musica orientale-araba e quindi gli strumenti sono orientali più che occidentali. Degli strumenti principali ricordiamo l’Oud, Kanun, e Derbekkeh.

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L’articolo completo può essere letto su La macchina sognante, una rivista di scritture dal mondo. Ogni settimana Frontiere News pubblica un saggio selezionato dalla redazione de La macchina sognante


Khalid W. Shomali si è diplomato in Pianoforte presso il Conservatorio Nazionale “Edward Said” di Betlemme nel 2009. Dal 2011 risiede a Perugia ed è iscritto all’Università degli Studi di Perugia presso la Facoltà di Scienze Politiche. Negli anni dal 2007 al 2009 è risultato vincitore del concorso pianistico “premio Carlo Tavasani”, che si svolge nella città di Gerusalemme; nell’estate 2009 ha composto, insieme al compositore americano Todd Fletcher, musica teatrale per uno spettacolo nel castello Hohenzollern della città di Hechingen (Germania). Nel 2010 ha ottenuto il 3° premio al concorso pianistico F. Chopin di Betlemme e, a seguito di questo risultato, ha potuto successivamente frequentare un Master Class nella città di Szafarnia (Polonia).

A maggio 2009 anno ha ottenuto il primo premio al concorso di letteratura e poesia inglese indetto dall’Ambasciata statunitense in Gerusalemme, nell’ottobre dello stesso anno ha ottenuto il secondo premio al concorso di letteratura e poesia araba in Betlemme; ha inoltre pubblicato saggi di giornalismo per siti web palestinesi su “Frederick Chopin between geniality and heroism” (in lingua araba) e “Palestine and the cultural resistance” (in lingua italiana).


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