di Alessandro Pagano Dritto – twitter: @paganodritto
Nonostante non fosse probabilmente azzardato aspettarsi duri e prolungati scontri, il Consiglio Presidenziale appoggiato dalle Nazioni Unite si installa a Tripoli senza eccessive tensioni. Ma il Serraj di questi primi giorni, che come Primo Ministro del futuro Governo di Accordo Nazionale potrebbe chiedere alla comunità internazionale l’assistenza contro lo Stato Islamico, si concentra innanzi tutto sulla questione economica, finanziaria e petrolifera.
Nel pomeriggio del 30 marzo 2016 arrivava a Tripoli, con il suo Consiglio Presidenziale quasi al completo meno i due boicottatori, il presidente Fayez Serraj, che le Nazioni Unite vorrebbero come futuro Primo Ministro del Governo di Accordo Nazionale previsto già a dicembre dagli accordi di Skhirat. [Per approfondire come premessa: Cronache libiche, Le conseguenze di un silenzio, 21 marzo 2016]
Fayez Serraj arriva a Tripoli: gli scontri temuti in gran parte non si verificano
Serraj approdava alla Capitale libica via mare, giungendo dal porto tunisino di Sfax alla base di Abu Sittah, nella Tripoli est. Trovava una città in indubbio fermento, dal momento che già dal 24 del mese il governo locale aveva dichiarato lo stato di emergenza e lo spazio aereo era stato bloccato un paio di volte per alcune ore forse proprio per evitare l’arrivo del possibile Premier, allora operante nella Capitale della Tunisia, all’aeroporto di Mitiga. Scaramucce dimostrative si erano di tanto in tanto verificate tra le milizie dispiegate per le vie e le strade di Tripoli, segno di un clima di tensione che secondo le peggiori prospettive avrebbe potuto esplodere proprio all’arrivo di Serraj.
Invece nulla. Protetto nella base navale da uno schieramento di milizie più o meno regolari – secondo alcune testimonianze quelle più in regola portavano addirittura il distintivo del Ministero dell’Interno tripolino – Serraj tiene il giorno del suo arrivo una conferenza stampa e dichiara che a breve il Consiglio Presidenziale darà conto di un dettagliato programma operativo. Foto e video che circolano in rete tra i social network e i siti informativi, internazionali quanto locali, mostrano il solito materiale che accompagna sempre le visite e le pubbliche attività di una qualsiasi autorità di Stato: strette di mani, saluti militari, sorrisi e abbracci. Il messaggio, però, qui è importante e più che solita routine: il clima è sereno e Serraj non sta incontrando le opposizioni temute, la Tripoli militare è con lui. Non appena possibile, l’1 aprile, Serraj lascia addirittura temporaneamente la base trasformata in quartier generale e nella quale i critici potrebbero dire che è barricato, per dimostrare invece che lui può girare tranquillamente per la Capitale. Altre foto, altri video, altre strette di mano e altri abbracci indicano che anche fuori dalla base la Tripoli comune è con lui: significativa la passeggiata in Piazza dei Martiri, l’ex Piazza Verde di Muammar Gheddafi e dunque tradizionale luogo del consenso e del potere di Tripoli, dove il 30 sera si erano radunate alcune formazioni ostili al governo unitario e alle Nazioni Unite. Il messaggio della passeggiata si fa ancora più chiaro e ancora più politico.
Sostanzialmente, dunque, il 30 marzo passa nella prima città di Libia quasi come molte altre sere, seppure con una comprensibile tensione nell’aria e con le milizie dispiegate sul terreno a sostegno dell’una o dell’altra fazione, dei locali o degli unitari. Ci sono scambi di fuoco – e per Tripoli questo non rappresenta una novità – ma nulla che lasci veramente il segno. Le milizie unitarie prendono possesso dell’edificio del Ministero degli Esteri, parrebbe senza colpo ferire, un’emittente filotripolina viene chiusa con la forza ma anche in questo caso senza spargimento di sangue.
Ascoltato dalla Associated Press in un lancio ora rimosso per inesattezze sulla notizia principale, il presidente della Commissione Sicurezza del Consiglio Presidenziale, l’ex miliziano filotripolino Abdel Raman Taweel, parla di trattative ancora in atto, comprensibilmente avaro di dettagli. Non è dunque ancora chiaro chi sia con Serraj, chi col Primo Ministro locale Khalifa Ghweil e chi – come suggerirebbe la logica delle possibilità – occupi invece una torbida zona grigia tra i due, magari in attesa che la situazione diventi definitiva. Le trattative paiono per il momento aver comunque funzionato quel tanto che basta ad evitare spargimenti di sangue e l’inizio di una lotta strada per strada.
I primi impegni dalla Capitale: Serraj a colloquio con la Banca Centrale e la National Oil Corporation.
Anche se in questi mesi la stampa internazionale ha sottolineato l’aspetto, vero e serio, della lotta allo Stato Islamico e della possibile richiesta di un intervento internazionale, le primissime azioni che Serraj compie rimandano ad altro: sempre la Associated Press riporta, a margine dell’articolo poi rimosso, che il 31 autorità civili locali delle diverse amministrazioni cittadine gli fanno visita nella base in cui è acquartierato, cosa che potrebbe spiegarsi con la necessità di coinvolgere anche la base amministrativa della Capitale nella questione sicurezza e nel rapporto con le milizie. Poi la prima questione affrontata è economica: Serraj ha bisogno di assicurarsi l’appoggio delle principali istituzioni economiche della Libia, dalla Banca Centrale alla National Oil Corporation (Corporazione Nazionale Petrolifera, NOC), che sono in qualche modo riuscite a transitare integre attraverso due anni di divisione del paese, ma che adesso necessitano di un referente politico finalmente e indubitabilmente univoco. Così il 31 stesso ha luogo la visita di Saddek Elkaber della Banca Centrale, il 2 aprile arriva l’accordo con la NOC tramite il portavoce di quest’ultima, Mustafa Senalla.
Il settore del petrolio, notoriamente quello fondante dell’economia libica, è infatti il più delicato, dal momento che la produzione versa in uno stato precario anche in seguito ai recenti attacchi dello Stato Islamico che hanno danneggiato alcune strutture. L’ultimo di questi attacchi, che non si sono mai effettivamente risolti nel possesso delle strutture da parte delle milizie nere, sembra essere avvenuto vicino Baida, nell’est libico, proprio il 2 aprile ed è stato respinto, come le volte precedenti, dalle Petroleum Facilities Guards (Guardie delle Strutture Petrolifere, PFG) di Ibrahim Jathran, originariamente collocatesi a fianco del governo orientale durante la divisione ma poi entrate in rotta di collisione con il Generale Khalifa Hafter che di quel governo controlla le forze militari. Le ultime notizie dicono che anche le PFG appoggerebbero il Consiglio Presidenziale, il che garantirebbe a quest’ultimo l’effettivo controllo delle strutture petrolifere del paese, soprattutto di quelle orientali. [Per approfondire su Ibrahim Jathran e le PFG: Cronache libiche, Milizie orientali contengono lo Stato Islamico, ma la coalizione militare sembra a rischio, 6 gennaio 2016]
Dentro e fuori la Libia: l’opposizione di Tobruk e l’appoggio estero a Serraj.
Nonostante questi apparenti primi successi, Serraj deve anche fare i conti con sacche di opposizione politica. Che non è una prerogativa del governo di Tripoli, ma anche di quello di Tobruk: qui infatti l’esecutivo del Primo Ministro Abdallah al Thanni aveva qualche giorno fa ribadito la volontà di non consegnare il potere al Consiglio Presidenziale prima che la proposta di governo unitario presentata ormai a gennaio non fosse stata riconosciuta, come da accordi, dalla House of Representatives (Casa dei Rappresentanti, HOR). Se il governo è quindi ostile – nel signficato e nelle sfumature da intendersi – a Serraj, il suo parlamento, che del Governo di Accordo Nazionale ha riconosciuto la validità in termini di principio, è diviso sulla sua realizzazione pratica e in particolare sulla necessità della presenza al suo interno del Generale Khalifa Hafter: a est, insomma, la questione militare rimane sospesa.
Molto più omogeneo, invece, l’appoggio esterno a Serraj, dal momento che la comunità internazionale ha applaudito unanime l’ingresso a Tripoli come un grande passo in avanti. L’Unione Europea ha finalmente imposto le sanzioni tanto a lungo minacciate, indirizzandole contro i due presidenti dei parlamenti rivali Nuri Abu Sahmain di Tripoli e Ageela Saleh di Tobruk e contro il Primo Ministro di Tripoli Khalifa Ghweil. Anche il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha prontamente reagito approvando all’unanimità, il 31 marzo, la Risoluzione 2278 (2016), che affronta una serie di questioni non inedite ma sempre importanti tra le quali quella economica della vendita estera del petrolio e quella militare dell’embargo di armi. La risoluzione ha però incontrato, durante il dibattito successivo alla votazione, le critiche del rappresentante libico alle Nazioni Unite Ibrahim Dabbashi, il quale ha accusato il Consiglio di Sicurezza di essersi arrogato l’univoca responsabilità dell’impoverimento del paese nordafricano, al quale rimane impedito l’accesso ai fondi esteri congelati durante la guerra del 2011: secondo quanto riporta l’agenzia di stampa Reuters, tali fondi sono stati valutati in 67 miliardi di dollari nel dicembre 2012.
Profilo dell'autore
- Il primo amore è stato la letteratura, leggo e scrivo da che ne ho memoria. Poi sono arrivati la storia e il mondo, con la loro infinita varietà e con le loro infinite diversità. Gli eventi del 2011 mi lasciano innamorato della Libia: da allora ne seguo il dopoguerra e le persone che lo vivono, cercando di capire questo Paese e la sua strada.
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