di Monica Ranieri*
Il campionato mondiale del 2006 rappresenta un caso esemplare per l’analisi del rapporto tra grande evento e strategie di national branding tese a rinsaldare il sentimento di appartenenza dei cittadini tedeschi e a promuovere all’esterno l’immagine di una Germania amichevole ed accogliente.
Parte integrante del piano di ridefinizione dell’immagine nazionale, l’imponente programma “Arte e cultura” ha costituito un caso unico di cooperazione tra attori del mondo artistico e politico e istituzioni del calcio nazionali ed internazionali: per la prima volta e nel contesto di un progetto globale, il calcio diveniva tema e contesto della creazione artistica contemporanea. Fiore all’occhiello del programma è Rundlederwelten, allestita nel raffinato spazio della galleria Martin-Gropius-Bau di Berlino: le opere, attraverso una destrutturazione linguistica e simbolica che stimola il visitatore ad immergersi in una dimensione evocativa e immaginifica, compongono un’esaustiva narrazione del calcio in quanto fenomeno sociale e cross-culturale. Il segno grafico oscilla tra denotazione, allusione e allegoria, permeando lo spazio in un percorso che esalta le molteplici potenzialità interpretative dell’arte contemporanea.
L’imponente progetto, concepito da Harald Szeemann, sembra sostenere pienamente l’immagine di un paese che promuove l’inclusione sociale e la convivenza multiculturale: le stesse opere che traggono spunto dal contesto tedesco dialogano tra loro sul terreno dell’indagine identitaria, spaziando dalla problematizzazione dell’identità di comunità migranti, all’intreccio tra memorie di celebri vittorie leggendarie e scambi culturali, all’esaltazione lucida di “virtù tipicamente tedesche”.
Il respiro multiculturale è alla base di Faszination Fußball/The Fascination of Football, che il Museum für Völkerkunde di Amburgo allestisce combinando approccio etnologico e storico-comparativo. L’intento è quello di esplorare, attraverso tutti i continenti, le declinazioni e le motivazioni della passione per il calcio, grazie ad un accurato lavoro di ricerca e raccolta di reperti di vario genere. Due sezioni, più strettamente di interesse etnologico, si concentrano su giochi tradizionali affini al calcio moderno e su varianti storiche in contesto europeo, mentre le altre propongono un ideale tour dello stadio, evocando storie, ritualità, appartenenze: dal campo, con i suoi protagonisti, si passa agli spalti, con la messa in scena di pratiche sociali che, pur ponendosi ai margini dei novanta minuti, appaiono dense di rilevanti significati culturali e simbolici. Un percorso articolato e razionale offre al visitatore una composita raccolta esposta attraverso ricostruzioni d’ambiente e tecniche tradizionalmente adottate dalla museografia etnografica europea. L’allestimento più che trasformare il volto del museo sembra quasi addomesticare la diversità culturale del fenomeno ai codici espositivi classici del museo etnografico, rendendo oggetti e pratiche culturali sportive musealizzabili e scientificamente analizzabili, familiari al contesto espositivo ma distanti dal contesto di normale fruizione e appartenenza. A fronte di ricchi ed inclusivi progetti di documentazione, tanto Rundlederwelten quanto Faszination Fußball sembrano ordire trame espositive che plasmano i percorsi conoscitivi e interpretativi in base alla propria autorità disciplinare.
Se la programmazione culturale di Germania 2006 può essere interpretata come la prima grande occasione dopo la riunificazione per migliorare l’immagine del paese a livello globale, nel contesto delle politiche simboliche in Sudafrica (2010) e Brasile (2014) un ruolo performante è stato assunto dalla volontà di annunciare in grande stile la propria entrata sul palcoscenico internazionale, dimostrando di essere portatori di quei valori universalmente condivisi che lo sport promuove. Le strategie comunicative adottate nel 2010 oscillano tra la rivendicazione di un’identità africana affrancata da pregiudizi e dall’eredità del passato coloniale e la valorizzazione delle specificità sudafricane rispetto al continente. Nell’ambito di numerosi studi che hanno analizzato politiche culturali e implicazioni simboliche del torneo è stato rilevato lo straordinario coinvolgimento del settore artistico in progetti funzionali a promuovere un nuovo ruolo del Sudafrica nel continente e nel mondo: tra le iniziative culturali realizzate sia sul territorio che all’estero, due mostre appaiono emblematiche per il diverso approccio che adottano nel restituire, attraverso il calcio, un’immagine specifica dell’identità africana e sudafricana.
La prima, Halakasha!, è stata curata da Fiona Rankin-Smith presso la Standard Bank Gallery a Johannesburg: opere di diverso genere sono state classificate in base a sottotemi che hanno dato nuovo impulso all’estensione della raccolta, successivamente ordinata in apparati scenici e strutture che potessero esaltarne le possibilità comunicative. L’apparato visuale messo in scena plasma uno spazio espositivo dinamico e vivace attraversato da corrispondenze tematiche, che, concentrandosi sugli aspetti più spettacolari, sgargianti e pittoreschi della partecipazione sportiva, tramuta il calcio quale fenomeno globalmente riconoscibile in qualcosa di eminentemente “africano”, correndo però il rischio di reiterare immaginari culturali di ascendenza coloniale.
Ad una prospettiva differente aderisce il District Six Museum: Fields of Play prende avvio da un’indagine partecipativa su memoria e storia orale dell’apartheid, focalizzandosi su racconti di amministratori, giocatori e tifosi delle squadre di Cape Town coinvolte nelle rimozioni forzate. Frutto di tre anni di ricerca e processi di consultazione pubblica la mostra propone il calcio quale strumento per esercitare nuovi modelli di cittadinanza basati sull’equilibrio tra elaborazione del passato e progettazione della “modernità”. Il risultato sembra soddisfare gli obiettivi esposti nella fase progettuale in cui il museo rivendica un ruolo alternativo rispetto alla “narrazione storica dominante proposta dalle campagne di branding”.
In merito al confronto tra narrazioni identitarie i mondiali brasiliani del 2014, accompagnati da una nutrita programmazione culturale, hanno offerto un nuovo teatro di analisi. Se la mostra evento The Beautiful Game contribuisce alla costruzione dell’immagine di un Paese stabile e sicuro di sé, altre esposizioni propongono soluzioni più originali e meno codificate. La preferenza per installazioni audio visuali caratterizza Futebol/The Game Ceases only when it is too late, e sottolinea la facilità con cui il calcio, in virtù della sua struttura narrativa e ricchezza allegorica, diventa oggetto di creazione artistica, soprattutto attraverso immagini in movimento. Il tempo del calcio, che è sospensione, simultaneità, contrattazione, informa lo spazio espositivo unico in cui sono esposti i video con audio e movimento sincronizzati: una delle componenti qualificanti l’esperienza sportiva viene così convertita in linguaggio museale, offrendo un’esperienza affine ad esso ma differente. Le opere, partendo dalla realtà brasiliana, ruotano intorno al concetto di trasformazione, esplorando le potenzialità che la lingua franca del calcio possiede in territori periferici e di marginalità.
Istanze di rivendicazione locale costituiscono invece l’ossatura di Tatu: Futebol, Adversidade e Cultura da Caatinga, che propone una critica alle politiche simboliche di national branding. Tatu è il nome locale dell’armadillo, animale a rischio di estinzione tipico della fauna locale ed eletto a mascotte del torneo, ma colorato irrealisticamente di blu. La decostruzione del design ufficiale e degli stereotipi che ruotano intorno al calcio si accompagna alla necessità di ridefinire il ruolo dello sport nel contesto di politiche pubbliche che promuovano la difesa delle peculiarità naturali e culturali del territorio. L’armadillo diventa allora il pretesto per indagare, attraverso reperti artistici, storico-archeologici ed etnoantropologici, sia la specificità ambientale e culturale brasiliana sia le contraddizioni del paese, rivalutando il gioco come importante forma di socialità e resistenza.
L’analisi di mostre nel contesto di eventi sportivi richiede di essere sviluppata in relazione alle strategie politiche e culturali di comunicazione simbolica funzionali a progetti di costruzione e consolidamento di identità nazionali e transnazionali. Progetti in cui generalmente l’esistenza di complesse realtà sociali e culturali interne viene celata, e, attraverso il riferimento all’universalità del fenomeno sportivo, la differenza e l’alterità addomesticate o incorporate in narrazioni funzionali alla costruzione e “vendita” di un’immagine nazionale che sul piano simbolico può sostenere e reiterare in nuova forma relazioni internazionali asimmetriche. Da una prima ricognizione appare evidente come le mostre del 2006 fossero funzionali a promuovere l’immagine di una Germania (e di un’Europa) ospitale e multiculturale, mentre nel 2010 e 2014 è più evidente la volontà di conquistare legittimità a livello internazionale rivendicando un ruolo ben definito in relazione sia a contesti regionali che globali. Nell’analizzare criticamente le narrazioni identitarie elaborate a partire dal calcio attraverso la mediazione della scrittura museografica, non si dovrà considerare la sola categoria dell’ “etnicità”: ospitare un grande evento offre agli attori sociali la possibilità sia di re-immaginare il locale a vario livello e seguendo differenti obiettivi, sia «di mostrare potere e sfidare la propria condizione periferica attraverso mezzi simbolici», contribuendo ad una riconfigurazione geopolitica tra Nord e Sud. Gli studi post-coloniali forniscono strumenti ermeneutici utili a comprendere come la programmazione culturale si leghi alle strategie messe in atto per diffondere un’immagine “migliorata” del Sudafrica e del Brasile.
In questa cornice, le mostre citate dispiegano un ventaglio di soluzioni espositive che consentono di emancipare la musealizzazione del patrimonio calcistico dal soddisfacimento di memorie nostalgiche e dalla celebrazione di identità decontestualizzate e astoriche, per innescare percorsi di interpretazione, reinterpretazione critica e analisi dei complessi processi di negoziazione e ridefinizione identitaria transnazionale.
*Il brano che vi abbiamo proposto è parte del saggio Grandi eventi e narrazione del calcio, tra arte e antropologia di Monica Ranieri, inserito nella collettanea “Effimero. Il dispositivo espositivo fra arte e antropologia. Casi di studio e prospettive di riflessione nel Novecento”, a cura di Francesca Gallo
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