Dall’altra parte del muro

Oltre 3100 km di confine separano gli Stati Uniti dal Messico. Ma c’è un solo spiraglio, non più largo di 15 metri, in cui alle famiglie è concesso toccare le dita dei propri cari dall’altra parte della barriera metallica.

In questo punto San Diego diventa Tijuana. Qui la US Customs e la Border Protection concedono  alle famiglie di riconnettersi, quelle stesse famiglie squarciate dalle loro implacabili politiche in materia di immigrazione.

Una terra di nessuno, conosciuta sotto il nome di “Friendship Park”, in cui gli agenti di frontiera si girano dall’altra parte mentre nuclei affettivi e famigliari messico-statunitensi fondono le proprie dita sul calar del sole.

Confine Usa-Messico (fonte: Guardian)
Confine Usa-Messico (fonte: Guardian)

Ci sono tante persone che percorrono distanze inimmaginabili per poter rivedere il volto delle persone amate. Spesso dopo anni – o in alcuni casi decenni – di separazione.

Talvolta capita che persone molto anziane o malati terminali vi si rechino su una sedie a rotelle, per poter dare un ultimo saluto alle persone amate. Ogni fine settimana ci sono famiglie che presentano i propri figli ai parenti, per la prima volta.

In “Through the wall” il regista californiano Tim Nackashi ha raccontato la storia di Abril, Julián e Uriel. Abril e il suo bimbo Julián, di 2 anni, vivono negli Stati Uniti senza documenti. Uriel, padre di Julián, è stato fermato dalla polizia per un’infrazione stradale minore e poi deportato in Messico, dove vive tuttora. Per riuscire a incontrarsi, Uriel parte da Tijuana, Abril e Julián dalla California. Sul confine possono trascorrere del tempo insieme, divisi da una barriera di separazione. E Julián conosce gradualmente il padre attraverso reti e barre di acciaio.

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Un rituale settimanale attraverso il quale questa famiglia si rende conto di non essere sola.

 

 


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