di Sahin Keskin
Prima degli anni Sessanta ci furono svariati tentativi di creare relazioni ufficiali tra Turchia e Vaticano (a dire il vero sin dall’epoca ottomana di Fatih il conquistatore). Eppure negli ultimi secoli furono sempre avversate dal protezionismo del cattolicesimo francese, che faceva da ponte tra i cristiani d’occidente e quelli d’oriente. Ciò condizionò sostanzialmente le politiche pontificie, la cui diffidenza fu in seguito condivisa dai turchi, specialmente dopo il Trattato di Losanna.
Le cose cambiarono dopo la Seconda Guerra Mondiale, anche grazie all’amore che Angelo Giuseppe Roncalli nutriva verso la Turchia. Durante il suo papato la relazione conobbe la sua epoca d’oro. Secondo il professore Rinaldo Marmara “quando Roncalli instaurò fratellanza e amicizia tra i due mondi, le relazioni tra Turchia e Vaticano cambiarono per sempre”.
Dopo Roncalli ci fu la visita storica di Paolo VI, che fu tuttavia criticato dal mondo islamico, e dalla Turchia, perché si inginocchiò a pregare ad Hagia Sophia. Più politicamente importante fu la visita di Giovanni Paolo II: mentre Paolo VI andò a Istanbul e a Smirne, quest’ultimo si recò ad Ankara. Tuttavia quando Mehmet Ali Ağca gli sparò a San Pietro, ferendolo gravemente, nel mondo cattolico ci fu inevitabilmente una percezione negativa delle relazioni con la Turchia.
Questo e altri incidenti fecero sì che la visita successiva sarebbe avvenuta solo 27 anni dopo, con Benedetto XVI. Il cui discorso anti-islamico tenuto all’Università di Ratisbona non fu dimenticato dal mondo islamico. E infine quando Papa Francesco disse che “il primo genocidio del Ventesimo secolo fu contro gli Armeni” si creò una crisi diplomatica profonda. Il presidente Erdoğan rispose immediatamente al Papa creando un clima ulteriormente critico del mondo cristiano verso il suo governo. Come se non bastasse, richiamò l’ambasciatore presso la Santa sede, aumentando notevolmente lo strappo.
FATTORI D’INFLUENZA
Le relazioni tra Turchia e Vaticano hanno caratteristiche uniche e non paragonabili ad altri rapporti diplomatici. Se ci troviamo dove siamo ora è grazie a gesti individuali, circostanze particolari e per discorsi pubblici di notevole portata.
individui
Ci sono dei personaggi chiave nella storia dei rapporti turco-vaticani che hanno apportato contributi particolari. Roncalli è la pietra miliare delle relazioni. Così come, nel contesto della Repubblica di Turchia, Adnan Menderes, Celal Bayar, Mustafa Kemal Atatürk e İsmet İnönü. Ma anche Mehmet Ali Ağca, che sull’attentato al Papa ha persino scritto un libro.
DISCORSI
Più che in ogni altro rapporto bilaterale, le relazioni tra Turchia e Vaticano sono state in gran parte determinate dalle dichiarazioni pubbliche. Alla base c’è il fatto che la Turchia non è uno stato islamico qualunque. Ci sono alcuni esempi che possono spiegare bene la situazione.
Il discorso di Smirne del comandante generale dell’esercito Nurettin Paşa verso le folle in cui disse: “Non dimenticate gli attacchi dei nostri nemici verso la patria, la nostra religione e la nostra terra né i loro obiettivi brutali. Ricordate che quelle persone che consideriamo nostri cittadini furono avvelenati, non dimenticate i loro crimini e i loro tradimenti”, non passò inosservato in Vaticano. Monsignor Ernesto Filippi arrivò a dire: “Ci sono molte indicazioni che fanno pensare che potrebbero esserci contrattacchi. Tra queste, le dichiarazioni politiche che possono provocare nella folla musulmana risentimento e voglia di vendetta”.
Un altro esempio è quello già accennato di Benedetto XVI a Ratisbona dove disse: “Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava” [citando una frase attribuita a Manuele II Paleologo]. O quello del cardinale Peter Turkson che mostrò al sinodo un video anti-islamico. Sebbene il Vaticano ribadì che si era trattato di un misunderstanding, nel mondo del radicalismo islamico turco ci furono dichiarazioni in cui si affermò che era in corso una crociata contro l’Islam.
L’ultimo caso, quello del riconoscimento del “genocidio armeno” da parte di Papa Francesco, causò forti reazioni in Turchia. Per il ministro degli Esteri di Ankara fu “inaccettabile” mentre secondo il primo ministro “si univa alla cospirazione” di un “fronte malvagio”.
Circostanze
E’ la parola migliore per spiegare perché i rapporti sono diventati ufficiali solo dopo gli anni Sessanta. Quando la Francia era forte e influenzava Roma, i rapporti con la Turchia venivano portati avanti ufficiosamente. E le guerre mondiali furono un importante banco di prova, perché in base ai risultati della Francia le relazioni sarebbero potute cambiare irrimediabilmente.
Dopo la I Guerra mondiale e il trattato di Losanna, il protezionismo cattolico francese era debole. Ma se il Vaticano cercò di approfittarne per aumentare gli scambi con i turchi, questi dovevano tener conto di situazioni aperte con la Francia tra debiti ed il futuro di città come Mosul e Hatay.
Al momento la situazione più delicata è quella legata al riconoscimento del genocidio armeno, in cui la Turchia è praticamente isolata.
Risultati
Le relazioni tra Turchia e Vaticano iniziate con Fatih il Conquistatore hanno conosciuto un processo tortuoso. La situazione è al momento relativamente stabile, paradossalmente, perché entrambe le parti vivono momenti politici forti. La questione dei rifugiati è al centro dell’agenda del Papa e, di conseguenza, dei suoi discorsi pubblici. Ad esempio ha criticato le politiche occidentali d’accoglienza e menzionato lo sforzo turco. E ha fatto un gesto distensivo che ha colpito molto in Turchia: pregare per le vittime dell’attentato di Ankara.
Il risultato è che si andrà avanti grazie ai gesti degli individui e ai discorsi pubblici. Che sposteranno di volta in volta gli equilibri di questa apparente stabilità. E’ presto per dire se saranno moti positivi o negativi. Ma alla fine dei conti, con le minacce alla sicurezza globale, l’Occidente e il Vaticano dovranno per forza continuare ad affacciarsi verso la Turchia, proprio come durante la guerra tra Russia e Impero Ottomano.
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