Dal Friuli alla Turchia, sui passi dei migranti

Un viaggio a ritroso dal Friuli alla Turchia, 30 metri di disegni colorati, una mostra itinerante e interattiva: MigrArt Action ripercorre i passi dei migranti sulla rotta balcanica

di Angela Caporale

C’è una coda per tutto. Una fila lunga, disordinata, animata dal chiacchiericcio tra chi si conosce. Si procede con lentezza. Una scritta di fil di ferro viene illuminata da un fascio di luce: “Il viaggio rende liberi?” Nemmeno il tempo di rispondere e tutto comincia. Ci si cala in un vorticoso viaggio a ritroso sulla Rotta Balcanica. Si parte dal Friuli Venezia Giulia, propaggine d’Italia ad estremo oriente sospesa tra la Mitteleuropa e i Balcani. La meta è una stanza buia, calda, soffocante. Due trafficanti, due attrici, ti sbattono in faccia la brutalità del passeur: “Cosa sei disposto a lasciare per passare oltre?”.

Il viaggio è finito, ma di fatto hai appena assaggiato soltanto una briciola della difficoltà di mesi e mesi di viaggio da casa tua a quell’Europa che rappresenta la speranza. È solo una briciola, ma brucia.

Tommaso e Alessandro Sandri, insieme a Paolo Tavani, vengono proprio da quel fazzoletto di terra dove l’immigrazione si tocca con mano, incredibilmente visibile nei parchi e negli occhi, spaventati o accoglienti, dei passanti che troppo spesso affrettano il passo. Da una partita di calcio sulla spiaggia di Lignano Sabbiadoro insieme ad un gruppo di ragazzi afgani e pakistani è nata la folle idea di ripercorrere al contrario la strada che in migliaia, circa 3.000 al giorno, hanno percorso nel 2015. Dall’Italia alla Turchia, passando per Slovenia, Croazia, Serbia, Macedonia, Grecia. Una volta di nuovo a casa, insieme all’associazione di cui sono parte, Menti Libere, hanno dato vita a MigrArt Action, un progetto che è, contemporaneamente, denuncia sociale, arte contemporanea, percorso esperienziale.

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Sono stati i “profugamici” ad indicare a Tommaso, Alessandro e Paolo la rotta, a spiegare loro dove attraversare a piedi i confini, dove trovare un campo profughi organizzato, dove ci sono invece aggregazioni spontanee e umanità. Biglietto da visita lungo tutta la durata del viaggio, circa due mesi alla fine del 2015, è stato un rotolo bianco, 30 metri di carta intonsa, pronta ad essere decorata e raccogliere le sensazioni dei profughi. Paradossalmente è stata proprio l’arte ad abbattere le barriere silenziose che ad ogni nuova tappa i tre viaggiatori si trovavano di fronte. Con un pennarello colorato in mano, la tensione si scioglieva. Piano piano tutti alzavano lo sguardo, addirittura un sorriso. Tommaso racconta che “le situazioni cambiavano ma in ogni luogo c’era sempre il bisogno forte di sentirsi per qualche attimo in una condizione di vita e non più di sopravvivenza”. Momenti che i tre ragazzi friulani non dimenticheranno tanto spesso. “Una volta tornato a casa”, continua, “sono stato in casa per delle settimane. Non riuscivo a smettere di pensare quello che avevo visto.” Gli fa eco il fratello Alessandro: “Non so spiegare cosa sia successo, ma oggi sono una persona completamente diversa. Quello che ho visto, osservato, vissuto è impresso nella mia mente.”

Immagini che si sono cristallizzate in taccuini densi di disegni intensi e diretti che, per ora, è possibile sfogliare lungo il percorso artistico che Menti Libere sta facendo migrare tra vecchi granai e paesini di montagna. Il fine è portare un’esperienza reale tra chi non ha mai toccato con mano tutto ciò di cui si parla sui giornali. Tutto viene ricreato, in piccolo, proprio come Tommaso, Alessandro e Paolo l’hanno vissuto nel loro viaggio. Le code, lo sguardo freddo della polizia di frontiera, il sorriso dei contadini serbi che ti offrono una mela, il senso di abbandono di Idomeni, i volontari spesso più interessati ad apparire che ad aiutare di Lesbo, l’incontro con i trafficanti. Si partecipa, non c’è alternativa. E sorprende l’inquietudine che non si riesce a frenare. C’è chi riesce a parlare, a fingere di essere un migrante, che alla domanda “Da dove vieni?”, improvvisa. Siria, Afghanistan, Iraq. C’è chi, invece, ha negli occhi il peso di quanto sta portando sulle spalle, un magone malcelato da un luccichio negli occhi.

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Assuefatti ad immagini, storie, numeri, il rischio di perdere il contatto con quella che è la peggiore crisi umanitaria dopo la Seconda Guerra Mondiale è quanto mai concreto. Calarsi nei panni di qualcun altro diventa vitale proprio per non rinunciare a quella connessione che solo l’empatia può saldare. Con questa finalità, MigraArt Action e proprio la scelta del medium artistico assume un valore sociale che valica, e di molto, la dimensione dell’infotainement: “È il modo nuovo e allo stesso tempo atavico dell’approccio artistico a questa epopea.”, spiega ancora Tommaso Sandri, “Dal punto di vista del volontariato, l’arte è forse l’unico linguaggio che mette le parti in gioco sullo stesso piano permettendo uno scambio equo e disinteressato. Dal punto di vista del reportage, si tratta di un nuovo modo di narrazione compiuta in prima persona con il linguaggio universale per eccellenza.”


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