La nuova Bulgaria, con vista sul Cremlino

di Kamen Kraev

Il 13 novembre i bulgari hanno eletto un nuovo presidente. Si tratta del generale Rumen Radev, ex comandante in capo delle forze aeree del Paese balcanico, sostenuto dal Partito socialista bulgaro d’opposizione (BSP). Nel ballottaggio il 53enne Radev si è assicurato quasi il 60% dei voti, 23 punti percentuali davanti a Tsetska Tsatcheva, il runner-up nominato dai dirigenti del partito di centro-destra GERB.

La sconfitta sonora ha innescato le dimissioni del primo ministro Boiko Borisov, in aderenza ad una promessa fatta durante la campagna elettorale. Nel corso di una conferenza stampa a caldo subito dopo le elezioni, Borisov ha detto che il GERB, che guida la coalizione di governo, ha perso il sostegno pubblico e, quindi, non può più rimanere al potere e “portare avanti riforme”. I legislatori bulgari hanno ratificato ufficialmente le dimissioni del primo ministro il 16 novembre.

La decisione del primo ministro di dimettersi ha il potenziale di far precipitare la Bulgaria in una crisi politica che potrebbe durare fino alla primavera del 2017. La Bulgaria è una democrazia parlamentare e il potere esecutivo è esercitato dal governo. Il presidente è una figura in gran parte simbolica, ma ha alcune prerogative, tra cui esercitare il potere di veto sulle leggi del Parlamento (de facto, facile a rovesciare), il comando supremo delle forze armate e il diritto di nominare governi di transizione. Le dimissioni di Borisov arrivano dopo due anni di potere, proprio nel bel mezzo dei quattro anni di cabinetto.

Molto probabilmente, la promessa di Borisov di dimettersi se il suo candidato non fosse riuscito a vincere la corsa presidenziale aveva lo scopo di mobilitare i cittadini che temono l’instabilità politica. Per i più familiari con la politica bulgara, è un fatto noto che il leitmotiv preferito dal signor Borisov nei discorsi politici fosse la conservazione della “stabilità” del Paese.

 

Chi è l’uomo nuovo?

Il presidente eletto Radev aveva vinto il primo turno delle elezioni il 6 novembre con poco più del 25% dei voti totali, seguito da vicino dalla Tsatcheva, al 23%. Il terzo posto era andato a un candidato nazionalista che aveva ottenuto circa il 15%. I turchi avevano preso il 6,6% grazie a Plamen Orešarski, l’infame primo ministro che aveva bloccato le proteste anti-governative dell’estate del 2013. Circa l’11% era andato a un oligarca di Varna che possiede una rete di farmacie a basso costo e stazioni di servizio a nord-est della Bulgaria. Infine, il 6% dei voti erano stati dati al candidato riformista del Bloc, il partner conservatore della coalizione di governo di Borisov di solito visto come un punto di riferimento per una parte della classe media urbana orientata al riformismo.

Con un risultato così variegato, è facile capire che la settimana prima del ballottaggio avrebbe potuto essere segnata da contrattazioni politiche dietro le quinte. Dopo i risultati finali è diventato chiaro che il nuovo presidente eletto ha ricevuto un sostegno pubblico ad ampio raggio. I sondaggi mostrano che elettori provenienti da ambienti demografici diversi e con orientamenti politici variegati hanno visto in Radev il loro candidato preferito. Per certo i suoi risultati hanno superato di gran lunga la tradizionale base di appoggio del BSP, che aveva avuto circa il 15% alle ultime elezioni generali nel 2014 e il 13% alle elezioni locali nel 2015. Curiosamente, Radev ha ricevuto un sostegno quasi totale dal partito etnico MRF e anche circa due terzi del voto nazionalista – due estremità tradizionalmente contrapposte in Bulgaria. Vale la pena notare che il MRF ha dichiarato pubblicamente il suo sostegno per la candidatura e che il partito è conosciuto per l’alta capacità di mobilitazione degli elettori.

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E’ corretto dire che il generale, che correva formalmente come candidato indipendente sostenuto dal BSP, ha attirato un vasto voto anti-establishment. L’aspetto maggioritario delle elezioni presidenziali in Bulgaria ha fatto sì che molti elettori hanno visto Radev, che non ha alcuna esperienza politica, come estraneo ad un sistema politico malato, impantanato in corruzione e nepotismo, dipendente dagli oligarchi e interessato solo alla sua stessa sussistenza.

Molti media occidentali hanno descritto Rumen Radev come un “pro-Russia”, “pro-Putin”, un candidato “Cremlino-dipendente”. Alcuni articoli hanno considerato citano il bulgaro e il moldavo (il ballottaggio ha avuto luogo lo stesso giorno) come voti presidenziali ugualmente “filo-russi”. In effetti, c’è certamente la tentazione di pensare alla corsa presidenziale della Bulgaria come una lotta ideologica della Russia nei confronti di NATO e UE.

Nelle sue apparizioni pubbliche durante la campagna elettorale, Radev ha parlato della possibilità di rivedere le sanzioni contro la Russia, invocando il recupero dei mercati persi e un dialogo al posto dello scontro aperto. Ha anche detto che la penisola di Crimea è de facto russa, pur dicendo che Mosca è in violazione del diritto internazionale. Allo stesso tempo, ha anche più volte sottolineato che la Russia non è un’alternativa all’appartenenza allo spazio euro-atlantico della Bulgaria.

La tensione tra russofili e russofobi è stata una spaccatura tradizionale nella società bulgara per buona parte degli ultimi 200 anni. Oggi è ancora alimentata all’interno dalle élite politiche e radicata nella mitologia nazionale.

Tenendo questo a mente, la squadra promotrice della campagna elettorale dei socialisti per Radev ha diffuso una serie di messaggi populisti per raggiungere il proprio elettorato tradizionale, sempre più anziano, di solito nostalgico dei tempi in cui la Bulgaria aveva raccolto i benefici dall’essere l’alleato sovietico più vicino a Mosca.

Allo stesso tempo, la strategia della campagna ha anche cercato i voti di molti nazionalisti bulgari che ancora guardano alla Russia come un “liberatore” e un “fratello ortodosso”. Radev ha preso una posizione anti-immigrazione, con l’obiettivo di soddisfare la stessa fonte di sostegno. Secondo i media locali avrebbe detto di non volere vedere che la Bulgaria diventi un “ghetto per rifugiati”.

Detto questo, si dovrebbe capire che il confronto tra amanti e nemici della Russia torna molto utile quando gli attori politici della Bulgaria radunano le loro basi elettorali. Molto spesso, però, tutte queste affermazioni elettorali si limitano ad essere le parole di una sorta di riorientamento geopolitico che non arriva mai ad essere realtà. Sdoganare e sfamare la società con i suoi timori vengono utilizzati come banali strumenti di manipolazione politica. Portare un uomo dell’esercito alla presidenza nel momento in cui l’incertezza è in aumento in tutto il mondo ha certamente giocato un ruolo nella strategia del BSP.

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La realtà

La realtà in Bulgaria è come al solito piuttosto banale – sia il GERB di Borisov che il BSP, quando sono stati al potere hanno giocato in equilibrio tra la Russia e gli alleati occidentali. Vorrei permettermi di dire che nessun partito politico in Bulgaria mette seriamente in discussione l’adesione all’UE e alla NATO del paese. L’economia della Bulgaria è estremamente dipendente da mercati di finanziamento dell’UE e di esportazione europea, senza la Nato il concetto di sicurezza nazionale è un’espressione vuota in un’area altamente instabile.

Per trovare vere differenze tra le piattaforme di Rumen Radev e Tsetska Tsatcheva ci vorrebbe una lente di ingrandimento. Il candidato di Borisov ha parlato anche di rivedere le sanzioni contro la Russia e il caldo benvenuto che i turisti russi ricevono in Bulgaria. Nessuno dei candidati ha avuto alcun atteggiamento aggressivo verso la Russia, a differenza delle posizioni espresse dal presidente uscente Rosen Plevneliev. Inizialmente eletto con il supporto di GERB, la retorica infuocata di Plevneliev sulle politiche aggressive della Russia tra i paesi vicini alla Bulgaria ha giocato un ruolo importante, anche se non esclusivo, nella decisione da parte di Borisov di non nominarlo per un secondo mandato.

Anche esaminando in profondità la politica estera di Boiko Borisov verso la Russia notiamo un interesse per la cooperazione piuttosto che lo scontro. Borisov non è mai stato molto soddisfatto della cancellazione del gasdotto South Stream e ha cercato in tutti i modi di ospitare il gas russo in Bulgaria. I suoi ministri parlano ancora della possibilità di riavviare il progetto della centrale nucleare di Belene o di costruire un nuovo reattore russo a Kozloduy. Il coinvolgimento di VTB Bank, il gigante finanziario controllato dal Cremlino, in settori strategici dell’economia bulgara non è mai stato realmente preso seriamente in considerazione da Borisov proprio come era avvenuto con i governi precedenti, compreso il BSP. Alcuni dicono che in realtà sono stati i suoi proxy ad acquistare il più grande attore nelle telecomunicazioni bulgare, BTK / Vivacom. VTB è stato anche coinvolto nel crollo, nel 2014, della Corporate Commercial Bank, che riciclava fondi per la politica e che ha portato circa € 2 miliardi di perdite per i contribuenti bulgari. Nel giugno 2016 Borisov ha reagito bruscamente contro la proposta rumena di formare una task force navale congiunta nel Mar Nero, per il timore di “irritare Russia”. Recentemente la Russia ha anche ottenuto un contratto di 21 milioni di euro per l’acquisto di dieci  caccia Mig-29.

Per riassumere, l’influenza della Russia in Bulgaria non viene da alleanze geopolitiche formali o da aderenze a trattati. Si passa attraverso una serie canali informali, come un recente rapporto del Centro per Studi Strategici e Internazionali ha affermato: progetti giganteschi di costruzioni, dipendenze energetiche, investimenti torbidi, supporto ai partiti politici, propaganda mediatica. E questa influenza è stata presente durante l’era di Borisov anche se il presidente, i ministri degli esteri e della difesa erano ampiamente pro UE e NATO.

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I problemi reali della Bulgaria sono nascosti nella sua debolezza di stato di diritto, nel sistema giudiziario corrotto, nel coinvolgimento di oligarchi nella vita politica e nella mancanza di concorrenza di mercato reale in molti settori dell’economia. E la cosa peggiore è che manca la volontà politica per risolvere questa situazione. I mezzi di influenza russa funzionano meglio in queste condizioni, ma lo stesso si potrebbe dire per qualsiasi altro attore che vive in un paese dove manca un ambiente basato sulle regole.

Ci sarà un vettore Russia?

Tuttavia, capire quale sarà la nuova politica estera della Bulgaria verso la Russia sembra essere una domanda valida e inevitabile. Sicuramente, nonostante tutti i suoi rapporti borderline con la Russia, Borisov dava l’immagine di un politico pro-Europa, come chiedevano molti dei suoi elettori.

In questa linea di pensiero, qualche cambiamento simbolico nella retorica potrebbe essere anticipato per conto del nuovo team di Radev. A breve termine, può essere ragionevole aspettarsi che la squadra del nuovo presidente renderà omaggio al elettorato tradizionale del BSP, mostrando al pubblico una sorta di rapporto rammendato.

 

Vale la pena notare che il generale Rumen Radev ha un master dalla US Air War College ottenuto nella Maxwell Air Force Base ed è stato, dopo tutto, un generale della NATO nella parte più importante della sua carriera militare.

In ogni caso, sarà il futuro a dirci fino a che punto il nuovo presidente della Bulgaria porterà avanti i suoi discorsi. La possibilità che l’agenda di politica estera della Bulgaria possa inclinarsi verso la Russia e quindi danneggiare l’immagine del paese in Occidente non è da escludere.

Il presidente russo Vladimir Putin ha già inviato una lettera a Radev congratulandosi con lui per la vittoria e chiedendo un miglioramento delle relazioni basate sulle “tradizioni secolari di amicizia e vicinanza culturale e spirituale”. I media russi hanno ampiamente acclamato il risultato elettorale della Bulgaria descrivendolo come una vittoria russa, in cui il “nostro” candidato (della Russia) ha vinto.


su gentile concessione di vox orientalis, un blog dai e sui balcani.


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