di James Lilford
Durante l’occupazione nazista la Bulgaria riuscì ad impedire – insieme a Danimarca e Finlandia – la deportazione della popolazione ebraica. Diventata più stretta l’alleanza con la Germania, alla Bulgaria fu dato l’ordine di organizzare la deportazione degli ebrei. Sebbene i piani siano stati parzialmente eseguiti, a causa delle pressioni politiche, la maggior parte degli ebrei della Bulgaria è stata salvata dai campi di concentramento nazisti. Questo atto di disobbedienza ha fatto nascere il dibattito su quale fosse la forza più significativa nel salvataggio degli ebrei della Bulgaria.
Verso la fine degli anni ’30, la Bulgaria era sotto una crescente pressione da parte dei nazisti. Lo Stato bulgaro – partner commerciale della Germania, che le vendeva armi – dovette decidere se cooperare con Hitler o essere invaso dalle sue armate (Crampton 1994, 128). Fu firmato un accordo che permise ai nazisti il passaggio militare verso Grecia e Jugoslavia in cambio dell’annessione bulgara dei territori perduti in Macedonia e Tracia occidentale (Crampton 2007, 258). Questo accordo comportava che la Bulgaria avrebbe dovuto seguire le politiche economiche, estere e interne naziste (Okey 1986, 182).
A poco a poco, la Bulgaria divenne ‘irrevocabilmente legata’ alla Germania e fu costretta ad adottare una politica antisemita (Chary, 2011, 94). Si iniziò nel 1940 con la ‘legge per la difesa della Nazione’, che privò gli ebrei dei diritti civili e permise l’acquisizione di proprietà e aziende ebraiche. Questa politica fu formalizzata nel 1943 con la creazione del Commissariato degli affari ebraici. I nazisti inviarono Theodor Dannecker, un funzionario del Sicherheitsdienst (servizio di intelligence nazista), ad attuare la deportazione degli ebrei. Furono espulsi 12.000 ebrei che vivevano al di fuori dei confini controllati dalla Bulgaria, nella Tracia e Macedonia appena occupate, espulsione tragicamente portata a termine nel marzo 1943.
Nel giro di pochi giorni, al migliaio di ebrei residenti nella città di Kyustendil, nei pressi di Sofia, fu ordinato di raccogliere i propri effetti personali. Alle famiglie fu ordinato di lasciare le case e di prepararsi al viaggio in treno verso i campi dell’Europa occidentale. Tuttavia il piano fu accolto con disgusto dalla Bulgaria, e molti esponenti politici e del clero fecero immediatamente pressione per annullare i viaggi della morte (Hakov 1998, 126). Come sottolineato da Michael Bar-Zohar, i metropoliti ortodossi, soprattutto Stefan di Sofia, organizzarono tempestivamente delle petizioni di protesta per cementare l’opposizione della società civile ai piani di deportazione (Bar-Zohar, 1998, IX). Nel 1970 Haim Oliver ha sottolineato il ruolo dei comunisti bulgari, sostenendo che il partito comunista – attraverso trasmissioni radio e la distribuzione di opuscoli – si oppose a gran voce alle deportazioni (Oliver 1978, 108).
Dimitar Peshev, Vice Presidente dell’Assemblea Nazionale, fece pressioni per fermare le deportazioni e propose una petizione di opposizione firmata da numerosi colleghi politici. Come sottolineato da Frederick Chary, quello di Peshev fu la prima mossa politica a sfidare la politica nazista (Chary, 2011, 198), che spinse Re Boris ad annullare la deportazione nell’aprile 1943. Soltanto il ‘potere supremo’ in Bulgaria, cioè re Boris, avrebbe potuto definitivamente opporsi alle politiche naziste (Todorov e Denner 2001, 19). Boris fu convocato in Germania e orgogliosamente dichiarò ad Hitler che la Bulgaria non avrebbe deportato i propri ebrei e si rifiutò di dichiarare guerra all’Unione Sovietica. Hitler era indignato, ma re Boris fu irremovibile. Per placare l’ira dei nazisti, promise loro che gli ebrei sarebbero stati internati in campi di lavoro in Bulgaria. Re Boris morì qualche settimane più tardi, nell’agosto del 1943, in circostanze sospette (apparentemente per un’insufficienza cardiaca). Tuttavia, gli alleati avevano cominciato a prendere il sopravvento e gli ebrei della Bulgaria non furono mai deportati.
Nei decenni successivi, storici e politici hanno cercato di comprendere quale fosse stata la forza più predominante nel salvataggio degli ebrei della Bulgaria. Il partito comunista ha affermato che i comunisti si erano “battuti eroicamente” contro le direttive naziste, salvando così la popolazione ebraica. Altri hanno sostenuto che l’intera popolazione bulgara fu da considerarsi come la forza più influente, perché protestò attivamente attraverso il lancio di appelli, la diffusione di volantini e lettere, dichiarazioni a mezzo stampa. Non è però da ignorare anche il ruolo che ebbe la Chiesa ortodossa, la cui opposizione attiva alla legislazione antisemita fu anch’essa portata avanti attraverso petizioni e proteste.
È tuttavia opinione ormai diffusa tra gli storici che furono Peshev (tra i primi a prendere posizione contro la politica nazista) e re Boris (che fece ricorso alla sua autorità assoluta di re) a ricoprire il ruolo più importante nell’impedire la deportazione. La grande opposizione civile, politica e religiosa portò Peshev e re Boris a comprendere l’importanza di rifiutare di eseguire gli ordini del regime nazista. Il leader comunista Georgi Dimitrov ha orgogliosamente dichiarato, alcuni anni dopo, che fu l’intero popolo bulgaro a garantire che “la vita degli ebrei fu risparmiata dalle grinfie bestiali dei macellai hitleriani” (Oliver 1978, 4). Sebbene re Boris e la Bulgaria avrebbero potuto contrastare più duramente le politiche naziste, ed impedire ad esempio la deportazione dei 12.000 ebrei di Tracia e Macedonia, i loro sforzi hanno fatto sì che 48.000 persone poterono essere salvate dalla Soluzione finale nazista.
[Traduzione dall’inglese a cura di Valerio Evangelista]
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