Trump e la guerra totale al giornalismo

Nel suo discorso inaugurale e durante il suo incontro con i vertici della Cia, Donald Trump ha confermato la sua avversione alla stampa statunitense (‘Ho una guerra in corso con i media’). Lo stesso ha fatto il suo portavoce Sean Spicer. La querelle va avanti dall’inizio (o forse da prima) della campagna elettorale del tycoon e l’ultima goccia è stata la pubblicazione delle foto aeree che mettono a confronto l’affluenza di folla tra il suo Inauguration Day e quello della cerimonia del giuramento di Barack Obama, otto anni fa. Vi proponiamo la traduzione in italiano della lettera aperta dell’American Press Corps, pubblicata dalla Columbia Journalism Review, utile a capire quali contromisure prenderanno i giornalisti statunitensi per garantire ai propri lettori una regolare e accurata informazione sulla Casa Bianca nonostante la guerra annunciata da Trump.

Caro Signor Presidente eletto,

In questi ultimi giorni prima della inaugurazione, abbiamo pensato che potrebbe essere utile chiarire come vediamo il rapporto tra la sua amministrazione e la stampa americana.

Non sarà una sorpresa per lei sapere che vediamo questa relazione tesa. Le notizie degli ultimi giorni secondo i quali il suo addetto stampa sta valutando di mandare via dalla Casa Bianca gli uffici dei giornali sono gli ultimi esempi di un modello di comportamento che si è protratto per tutta la campagna: ha impedito che gli organi di informazione potessero coprire le notizie su di lei. Ha usato Twitter per schernire e minacciare i singoli giornalisti e incoraggiato i suoi sostenitori a fare lo stesso. Ha sostenuto la flessibilità sulle leggi sulla diffamazione e minacciato numerose volte di far causa ai giornali, senza che questa eventualità effettivamente si materializzasse. Ha evitato la stampa quando ha potuto e disprezzato i lanci d’agenzia e le conferenze stampa. Ha ridicolizzato un giornalista che ha scritto qualcosa che le non piace per la sua disabilità.

https://www.youtube.com/watch?v=IQ_XcztaXd0

Tutto questo, naturalmente, è una sua scelta e, in un certo senso, il suo diritto. Mentre la Costituzione tutela la libertà di stampa, non dice come il presidente debba onorarla; avere conferenze stampa regolari non è sancito dal documento costitutivo.

Ma mentre ha tutto il diritto di decidere le regole di base su come confrontarsi con la stampa, ne abbiamo un po’ anche noi. Dopotutto, lei ha l’intenzione di influenzare le nostre trasmissioni e le colonne dei nostri giornali. Noi, non lei, decidiamo come meglio servire i nostri lettori, ascoltatori e spettatori. Quindi, consideri quello che segue come un modo per capire cosa aspettarsi da noi nel corso dei prossimi quattro anni.

L’accesso è preferibile, ma non indispensabile. Si può ritenere che dare ai giornalisti l’accesso alla sua amministrazione non abbia alcun vantaggio. Noi pensiamo che sarebbe un errore da parte sua ma, ancora una volta, è una sua scelta. Siamo molto bravi a trovare modi alternativi per ottenere informazioni; anzi, alcuni dei migliori report fatti durante la campagna provenivano da media che erano stati banditi dai suoi raduni. Dire ai giornalisti che non avranno accesso a qualcosa non è ciò che noi preferiremmo, ma è una sfida che sappiamo cogliere.

Le regole su come parlare off the record le impostiamo noi, non lei. Potremmo decidere di parlare con i suoi funzionari ufficiosamente oppure no. Possiamo partecipare a briefing o eventi sociali off-the-record, o possiamo saltarli. La scelta è nostra. Se pensa che i giornalisti che non accettano le regole verranno tagliati fuori, e non sarà possibile ottenere la storia, veda sopra.

Decidiamo noi quanto tempo di una trasmissione dare al suo portavoce e ai suoi surrogati. Ci adopereremo per ottenere il suo punto di vista, anche se cercherà di escluderci. Ma questo non significa che siamo tenuti a inclinare le nostre onde radio o le colonne dei giornali verso persone che più volte hanno distorto o piegato la verità. Noi li escluderemo quando lo faranno, e ci riserviamo il diritto, nei casi più eclatanti, di bandirli dalle nostre pubblicazioni.

Crediamo che ci sia una verità oggettiva, e considereremo lei in funzione di questa. Se lei o i suoi surrogati direte o scriveranno tweet palesemente sbagliati, lo diremo ripetutamente. Lavoriamo sui fatti e non abbiamo alcun obbligo di ripetere false affermazioni; lei o qualcuno della sua squadra ha detto che voi fate notizia, ma lo è anche il fatto che non reggete al controllo di quanto dite. Entrambi gli aspetti devono ricevere lo stesso peso.

Controlleremo ossessivamente tutti i dettagli del suo governo. Lei e il suo personale sederanno alla Casa Bianca, ma il governo americano è tentacolare. Piazzeremo reporter in ogni sede governativa, li incorporeremo nelle sue agenzie, avremo fonti tra i burocrati. Il risultato sarà che, mentre si cercherà di controllare ciò che esce dalla West Wing, avremo il sopravvento nel coprire giornalisticamente i modi in cui vengono selezionati tali criteri.

Nei nostri riguardi fisseremo standard più elevati che mai. Le diamo credito per aver evidenziato la grave e diffusa diffidenza verso i media in tutto lo spettro politico. La sua campagna l’ha sfruttata, ed è stato per noi un rinnovato campanello d’allarme. Dobbiamo riconquistare la fiducia. E lo faremo attraverso un giornalismo accurato e senza paure, riconoscendo i nostri errori e rispettando i rigorosissimi standard etici che ci siamo prefissati.

Lavoreremo insieme. Si è tentato di dividerci e di utilizzare la profonda competitività tra i giornalisti per provocare lotte interne. Quei giorni stanno finendo. Ora riconosciamo che la sfida che lei ci ha lanciato richiede che collaboriamo e ci aiutiamo l’un l’altro, quando possibile. Così, quando durante una conferenza stampa aggredirà o ignorerà un reporter che ha detto qualcosa che non le piace, si troverà davanti un fronte unito. Quando ha una sua utilità, lavoreremo insieme alle storie, e ci assicureremo che il mondo comprenda quando i nostri colleghi scrivono storie rilevanti. Noi, naturalmente, abbiamo ancora disaccordi, e anche importanti dibattiti, sull’etica, il buon gusto o la correttezza di certi commenti. Ma questi dibattiti saranno nostri dall’inizio alla fine.

Stiamo giocando a una partita lunga. Nel migliore dei casi per lei, avrà questo lavoro per otto anni. Siamo stati presenti fin dalla fondazione della repubblica, e il nostro ruolo in questa grande democrazia è stato ratificato e rinforzato sempre più. Lei ci ha costretto a ripensare le domande fondamentali su chi siamo e sul perché ci troviamo qui. E per questo le siamo molto grati. Buon discorso inaugurale.


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