L’America di Trump, un b-movie anacronistico

di Pina Piccolo*

Negli Stati Uniti stiamo assistendo a un intreccio ideologico che unisce indissolubilmente la ricerca della felicità alle apparenze che mascherano la realtà; si tratta, non a caso, del paese dove l’industria cinematografica ha per prima raggiunto il suo zenit, diventando, insieme allo sport, il motore principale per la trasformazione delle persone da gente che agisce in spettatori. Una versione da 21esimo secolo, tecnologicamente potenziata del panem et circensem dell’Impero romano, per un impero in declino che si trova ad affrontare le sfide di un mondo multipolare.

Mentre nei primi anni del Duemila si chiudeva il margine di manovra a disposizione degli USA per confermare la sua posizione come unica superpotenza mondiale, sarebbe interessante analizzare la svolta nelle arti visive che passavano dal primato del cinema a quello della televisione (un presagio forse del fatto che il presentatore di un reality show sarebbe diventato Presidente?). Di pari passo si verificava anche uno spostamento di massa verso i social media. Non dovrebbe stupirci il fatto di avere un presidente molto attivo su Twitter che ha come consigliere principale l’ex direttore di un portale di news di destra.


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La favola del Mago di Oz è l’ammonimento per eccellenza a guardare dietro la cortina e a non ignorare l’uomo che maneggia gli effetti visivi (è interessante notare che nel romanzo di Frank Baum è il cane Toto, elemento che rappresenta la ‘natura’, a indurre i protagonisti ad andare oltre alle proprie emozioni  e guardare/vedere quel difetto fatale che rivela l’inganno).

Potrebbe forse succedere che a costringere gli ‘spettatori’ a svegliarsi, anche nel nostro caso, siano gli ‘elementi  naturali (leggi ‘cambiamenti climatici’), e chi è ancora vicino alle forze della natura (leggi ‘le popolazioni indigene’) che sono i primi ad essere spietatamente aggrediti? Potrebbero essere loro a cacciare dalla cabina di regia L’Uomo Molto Cattivo (“You are a very bad man” sono le parole  che Dorothy rivolge al “mago” una volta scoperto l’inganno) e il sistema che gli sta dietro?

Negli USA, la prima fulgida ascesa al potere politico da parte di attori è avvenuta negli anni settanta del novecento con l’elezione di Ronald Reagan a governatore della California. Trattavasi di ex attore di b-movies, ex-presidente del sindacato degli attori, asceso poi, negli anni ’80 del 900 alla Presidenza degli Stati Uniti per due mandati, durante i quali al mondo sono stati presentati per la prima volta i principi e le pratiche del neo-liberismo.

Le sue orme sono state seguite due decenni dopo (sempre in California) da un altro attore (sempre di film di serie B) ricordato per il suo ruolo di Terminator, Arnold Schwarzenegger, e che in questi giorni è stato protagonista di uno scontro con il neo eletto President Trump sulle rispettive capacità di governare. La transizione al nuovo millennio, dal 1999 al 2003 è stata accompagnata da un altra fulgida ascesa sportiva-attoriale, questa volta nello stato del Minnesota: ci riferiamo a Jesse Ventura, campione di una disciplina sportiva ad alto impatto spettacolare, cioè il professional wrestling.

Per l’attore-presidente degli anni ’80 il paradigma dominante era quello del cow-boy, ruolo che ben si addiceva alla fase ascendente del neo-liberismo che necessitava di un certo atteggiamento ‘selvaggio’, appunto da Wild west con il suo motto “Go West, young man!” ma per la ristrutturazione interna ed internazionale necessaria oggi ai potentati economici su scala globale occorre un’impostazione più tecnologica (che si era già intravista del resto nel personaggio di Terminator degli anni ’90), un’impostazione che chiami in causa  il rapporto tra percezione e realtà, e voilà, eccoci nel mondo di Matrix, con un Presidente dagli improbabili capelli arancione che fingendosi furioso capopopolo miliardario twitta “fatti alternativi” dalla sua cabina di regia. 

Qualche giorno dopo l’inaugurazione del suo mandato, il Presidente promuove gli alternative facts  denunciando nel contempo a gran voce le fake news dei media liberal che cospirerebbero contro di lui. Tutto ciò accade nella terra della ricerca della felicità, incarnata nella Trump Tower residenza in cui il neo Presidente si trova più a suo agio e che presto avrà come inquilino pagante anche una piccolo rappresentanza del Pentagono. Tutto ciò accade mentre si allarga ulteriormente la forbice tra ricchi e poveri.


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Un’altra illusione che, nella migliore tradizione dell’immaginario dei road trip statunitensi, è appena andata a schiantarsi contro il parabrezza è quella della società post razziale. La realtà delle race relations si è ostinata a far visita alle persone dalla pelle nera e dalla pelle bruna per tutti gli 8 anni del mandato del primo presidente nero, e probabilmente ha fatto da carburante  simbolico alla rivendicazione MAGA (“Make America Great Again”)

Coloro che negli anni dell’amministrazione precedente hanno continuato a lottare rispondendo ai pugni ben concreti sferrati dalle illusioni post-razziali, adesso non si coalizzano in maniera spontanea con i ‘resistenti’ appena scesi in campo,che si sono svegliati solo adesso, sotto choc per quella che credono essere una rottura, piuttosto che un balzo in avanti all’interno di un continuum. Esiste quindi uno scollamento tra il mondo esterno agli USA che è stato bersaglio di guerre, di droni, di deportazioni  scatenate durante gli anni della benevola amministrazione Obama, quei segmenti della popolazione interna che sono stati bersagliati o trascurati durante i ‘bei tempi’  e coloro che si sentono motivati a reagire solo adesso.

New York passa dalla città delle Torri (sparite, disintegrate nel corso di un ‘evento’ la cui natura non è stata mai del tutto chiarita), a quella della Trump Tower, l’incarnazione di un illusorio lusso, discendente dai saloon/bordelli del Wild West  costruiti dal nonno di Trump, luccicante locus di piacere secondo la visione di un rappresentante del Vecchio Mondo per attizzare la felicità del Nuovo Mondo.

È difficile discernere se la politica è lo schermo su cui vengono proiettati  gli effetti visivi o se è invece la cortina che nasconde il proiezionista. Una cosa comunque è certa, benché si combattano le conseguenze concrete di quelli che sembrano essere gli irrazionali editti di ‘Trump, il dissennato’ ciò che viene proiettato sullo schermo della politica sono ombre (uno spettacolo di ombre cinesi?) il cui scopo è di occultare  processi economici internazionali più profondi in atto in questo momento storico.


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All’interno di questo quadro, non dovrebbe stupirci il fatto che la reazione agli scenari delineati sopra contenga elementi e discorsi condivisi tra le forze che si scontrano: quindi dalla tribuna della Women’s March di Washington  gli interventi di celebrities della sinistra e delle rappresentanti della cultura dionisiaca (Madonna a Washington, Lady Gaga la settimana dopo al Super Bowl Sunday); non dovrebbe stupire il fatto che certi elementi della resistenza si manifestino sotto forme e toni festivi, ironici e auto-celebratori piuttosto che nei toni sobri dell’antifascismo storico. Dopotutto esiste ancora una certa incredulità verso un fenomeno che si potrebbe possibilmente chiamare fascismo, in un paese in cui vige ancora il mito dell’Eccezionalismo americano.


*Pina Piccolo è una scrittrice, blogger e traduttrice calabro californiana che pubblica principalmente in rete, sia in italiano che in inglese.  È tra le fondatrici de lamacchinasognante.com,  contenitore online di scritture dal mondo. Collabora varie riviste letterarie tra cui Versante Ripido, le Voci della luna, El Ghibli, Euterpe, e in passato con Sagarana e Glob011.  Alcune sue poesie sono anche presenti in antologie cartacee.


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