Ripensare le operazioni di pace in Africa

Secondo dati recentemente rilasciati dal SIPRI (Stockholm international peace research institute), il 75 per cento di tutto il personale impiegato nelle operazioni multilaterali di pace sono attualmente distribuiti sul continente africano. La cronaca internazionale dimostra che il partenariato tra gli attori internazionali e quelli locali è assolutamente squilibrato. Servono nuovi percorsi per delineare collaborazioni tra Africa e attori esterni (Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, le altre organizzazioni internazionali, i paesi donatori e quelli che inviano truppe non africane) e per rafforzare la reciproca comprensione.

Capire e riconsiderare i concetti alla base delle operazioni di pace

Le ipotesi alla base del rapporto tra africani e attori esterni devono essere riconsiderate, se si vuole ancora pensare le operazioni di pace come uno strumento per contrastare le sfide attuali e future alla sicurezza (ad esempio, terrorismo, criminalità organizzata e insurrezioni armate) e contemporaneamente rispondere alle esigenze dei cittadini locali e delle comunità, che dovrebbero essere “gli utenti finali”.

“Abbiamo bisogno di uscire dalla malsana dinamica nella quale l’ambiguità del concetto di ‘titolarità africana’ viene utilizzata per fini politici sia da parte africana che dagli attori esterni”, afferma Xenia Avezov, tra gli autori del rapporto African directions e ricercatrice in operazioni di pace e gestione dei conflitti per SIPRI. Ciò significa che gli attori esterni non devono nascondersi dietro la titolarità africana per evitare di contribuire alle operazioni di pace in Africa, mentre attori africani non dovrebbero usare il concetto per evitare di prendersi la responsabilità di rendere conto delle proprie scelte strategiche.

Numero del personale nelle operazioni multilaterali di pace per regioni (periodo 2006-2015)

“Le sfide che le operazioni di pace in Africa dovranno affrontare in futuro si potrebbero giocare nel continente ma essenzialmente avere un carattere globale”, spiega Jair van der Lijn, programme manager degli studi sulle operazioni di pace di SIPRI. La globalizzazione e l’interconnessione delle attuali sfide alla sicurezza indicano che le operazioni di pace richiedono risposte condivise. Serve quindi che l’influenza africana nel processo decisionale sia più ampio, ma che al contempo questo venga fatto nell’ambito di una partership mondiale. E allo stesso tempo gli attori esterni dovrebbero avere l’obbligo e l’interesse di fare la loro parte supportando economicamente le attività.

L’attuale divisione del lavoro è insostenibile

I paesi africani stanno fornendo sempre più personale per le operazioni di pace in Africa, mentre gli attori esterni in genere pagano, ma non sempre con una strategia ben precisa. La mancanza di un equipaggiamento militare adeguato, ad esempio, è spesso una delle ragioni per le quali i contingenti africani in operazioni di pace soffrono di un numero relativamente elevato di incidenti mortali.

Se l’impegno dev’essere mutuale è anche perché i paesi terzi non sono esenti da responsabilità. “Dobbiamo abbandonare il riferimento alla totale responsabilità africana e pensare un partenariato veramente equilibrato ed equamente globale-regionale per rendere le operazioni di pace in Africa adattabili al futuro”, dice van der Lijn. “Questa è davvero l’unica opzione, abbiamo bisogno di una responsabilità comune e nuovi contributi finanziari e di personale per le operazioni di pace in Africa, affinché la struttura della gestione dei conflitti esistenti sia davvero sostenibile”.


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