Vucic ha vinto grazie a una campagna elettorale giudicata da molti irregolare e a un forte astensionismo. Ma le piazze si riempiono di giovani che chiedono riforme
Ancora una volta il popolo serbo ha dimostrato la sua propensione all’autoritarismo e ai leader forti. Solo così si potrebbe spiegare la vittoria, assoluta, nelle elezioni presidenziali dello scorso 2 aprile in cui l’attuale primo ministro Aleksandar Vucic è stato scelto come presidente della Repubblica della Serbia.
Nonostante in molti non ci abbiano creduto, Vucic ha vinto al primo turno, senza bisogno di andare al ballottaggio, ottenendo il 55% delle preferenze. Al secondo posto il leader preferito dell’opposizione pro-europea, l’ex difensore civico Sasa Jankovic con il 16% delle preferenze; mentre il candidato comico Luka Maksimovic detto Beliche, che aveva attirato l’attenzione di una parte significativa dei cittadini, si è guadagnato la terza posizione con 9,4% dei voti.
In un paese dove quasi tutti i media sono controllati, dove le istituzioni statali sono subordinate alla volontà di chi è al potere e coloro che indicano pubblicamente gli errori del regime vengono processati, queste elezioni avrebbero dovuto rappresentare una sorta di referendum pro o contro il regime di Aleksandar Vucic. Al contrario, sono finite con un’affluenza che a malapena ha raggiunto la soglia del 50%.
Secondo gli analisti, adesso c’è da aspettarsi che la vittoria di Vucic porti al consolidamento del potere di un solo uomo e che venga quindi rafforzato il sistema presidenziale.
Nella tarda notte della vittoria, in grande stile e con le trombe in sottofondo, Vucic si è rivolto ai giornalisti dicendo che la sua vittoria fosse pulita come una lacrima. Secondo l’attuale primo ministro e neoeletto presidente queste elezioni avrebbero palesato verso quale direzione voglia andare la Serbia.
Forse in quel momento dimenticava che fosse stato proprio lui a chiudere il Parlamento per tutta la durata della campagna elettorale, con la chiara intenzione di sopprimere il dibattito con l’opposizione. Va detto che queste elezioni sono state le più corte nella storia della Serbia, una campagna elettorale durata solo trenta giorni, contrariamente ai principi democratici comuni.
Come se non bastasse, il premier Vucic non si è dimesso da primo ministro in quanto candidato per la presidenza della Serbia; mentre uno dei suoi più grandi oppositori, Sasa Jankovic, ha rinunciato alle sue funzioni pubbliche per dedicarsi alla campagna presidenziale.
A livello mediatico le elezioni presidenziali si sono svolte in condizioni del tutto irregolare: in giornali e tv, Vucic ha occupato il 60% dello spazio totale concesso ai candidati e secondo il Centro per i media (CEM) il 98% degli articoli pubblicati su di lui erano a suo favore. Basti dire che l’ultimo giorno della campagna elettorale, tra i sette più importanti quotidiani del paese, sei avevano la copertina avvolta dal volantino elettorale di Vucic.
Molti giornalisti internazionali hanno scritto che in Serbia abbia vinto un candidato europeista e riformista che garantirebbe la pace nei Balcani, dimenticandosi il suo passato nazionalista ed anti-europeo. Sembra che sia l’Europa che Mosca siano soddisfatte della vittoria del premier uscente. A dimostrazione ci sono gli incontri importanti che Vucic ha avuto durante l’ultima settimana di campagna elettorale con Angela Merkel, Federica Mogherini e Vladimir Putin.
D’altra parte, tutto questo non giustifica la poca affluenza alle urne. In ogni caso, una parte significativa degli elettori, forse quella più arrabbiata, ha portato al terzo posto il personaggio immaginario Luka Maksimovic, attraverso il suo alter ego Ljubisa Preletacevic Beli, un giovane che ha messo a nudo tutta l’assurdità del sistema politico serbo. Luka ha scelto di imitare un politico della peggiore specie, presentandosi con un completo bianco, una pelliccia, un enorme orologio e un anello d’oro. Ha girato le strade delle città serbe vestito così e promettendo occupazione e soldi a chi gli avesse assicurato il voto.
In serbo “Beli” è un soprannome tradizionale e significa bianco, mentre il cognome “Preletacevic” indica la tendenza a cambiare facilmente schieramento, cosa che succede molto spesso in Serbia.
Gli analisti credono che in Serbia abbia vinto ancora una volta la paura. La paura di cambiare, di dire basta. Secondo i sondaggi nelle provincie più povere e meno sviluppate del paese, Vucic ha avuto più del 75% delle preferenze.
Eppure pare che questa paura abbia fatto arrabbiare migliaia di persone, in particolare giovani e studenti, che sono scesi nelle piazze di tutte le città per protestare contro la vittoria di Vucic. Il movimento “Contro la dittatura”, nato qualche giorno dopo le elezioni spontaneamente su Facebook, contesta l’esito del voto e sostiene che Vucic sia stato favorito da brogli e dal controllo sui media. L’associazione degli studenti di Belgrado e Novi Sad, subito dopo ha pubblicato una lista di richieste, specificando che, fino a quando non saranno soddisfatte, le proteste continueranno.
Gli studenti chiedono la sostituzione del direttivo della tv pubblica per aver favorito la presenza di Vucic rispetto agli altri candidati. Poi, chiedono la sostituzione dei membri della commissione elettorale per non aver reagito alle numerose segnalazioni di irregolarità durante il voto. Infine, gli studenti chiedono l’aggiornamento delle liste elettorali e il voto elettronico. Se le richieste non verranno ascoltate, i manifestanti chiederanno le elezioni parlamentari anticipate. Alle proteste partecipano rappresentanti dei sindacati della polizia di stato e dell’esercito.
Finora, le proteste hanno mantenuto un tono pacifico, pornando lo stesso Vucic a dire che fino a quando non sfoceranno in violenza rappresenteranno il segno di un “paese democratico”.
Profilo dell'autore
- Corrispondente dall'Italia per vari media della Serbia degli altri paesi dell'ex Jugoslavia, vive in Italia dal 2006 e da allora ha collaborato con molte riviste di geopolitica italiane e internazionali. Attualmente scrive per Al Jazeera Balkans e per la versione in serbo della BBC. È membro dell'International Federation of Journalist e dal marzo 2020 è il Consigliere Delegato dell'Associazione Stampa Estera Milano
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