Perché i britannici non scendono in piazza contro la Brexit?

di Neil Davidson*

Secondo alcune stime della polizia, che raramente esagerano, il 25 marzo circa 100 mila persone hanno marciato in tutta Londra a sostegno dell’Unione europea, mentre si stima che dalle 1.000 alle 1.500 erano a Edimburgo. L’occasione è stata il 60° anniversario del Trattato di Roma, ma è più significativo che la manifestazione abbia avuto luogo pochi giorni prima che il governo britannico di Theresa May firmasse l’articolo 50 del trattato di Lisbona, l’avvio del processo di uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea.

Il leave ha vinto il referendum con una stretta maggioranza, il 51,9% di coloro che hanno votato, ma questo si traduce in appena il 37,48% degli elettori. Anche se i remainers sono una parte ancora più piccola dell’elettorato, potrebbe sembrare sorprendente che non ci siano state dimostrazioni grandi e vigorose contro la Brexit.

Ci sono state, naturalmente, proteste davanti ai parlamenti di Westminster ed Edimburgo nei giorni e nelle settimane immediatamente successive al risultato del referendum di giugno 2016. Successivamente, la Marcia per l’Europa del 2 settembre 2016 ha riunito migliaia di persone a Londra, Edimburgo, Birmingham, Oxford, Cambridge e Bristol. Eppure, da allora, le manifestazioni sono state poco frequenti e scarsamente popolate, persino quando il parlamento del Regno Unito stava discutendo il disegno di legge che ha permesso l’attivazione dell’articolo 50.

Il contrasto con le proteste gigantesche contro l’invasione dell’Iraq nel 2002 e nel 2003, o anche con le manifestazioni recenti che sono seguite al travel ban di Donald Trump è palpabile. Sebbene nella vita di tutti i giorni dei britannici l’indole del presidente degli Stati Uniti avrà molto meno impatto rispetto all’abbandono dell’UE.

Perché questa disparità? Suggerisco cinque motivi.

Spaccature tra i ‘Remainers’

La prima ragione riguarda le divisioni all’interno del campo remain, tra due posizioni in ultima analisi incompatibili circa la stessa UE. Una sostiene che l’Unione europea è essenzialmente un’istituzione benefica che esiste principalmente per prevenire la guerra, difendere i diritti dei lavoratori, difendere l’ambiente e garantire la libertà di movimento.

L’altra ritiene che si tratti di un’illusione, e vede la UE come un mezzo per imporre l’austerità neoliberista sui piccoli Stati membri, pur mantenendo le proprie barriere razziste verso i rifugiati al di fuori dei confini dell’ “Europa”. Per questo gruppo, votare di rimanere è un modo per respingere i razzisti, la politica anti-migranti di UKIP e la destra tory che ha dominato la campagna leave – non un segno di sostegno positivo per l’UE. Sono gli elettori meno propensi, tra i remain, a scendere in piazza per protestare contro il risultato del voto, visto che questo verrebbe interpretato come supporto per la stessa UE.

La seconda ragione è che alcuni oppositori della Brexit riconoscono che, qualunque sia il loro personale punto di vista, il referendum è stato vinto legittimamente e che sarebbe antidemocratico tentare di annullarlo. Ciò è in netto contrasto con la posizione di altri sostenitori del remain, che continuano a criticare i fautori del leave per la loro presunta ignoranza, la stupidità e il razzismo. Sostengono che il voto può essere ignorato ed eseguito nuovamente fino a quando il risultato “corretto” venga ottenuto – una strategia che ha diversi precedenti nella storia dell’UE, come ad esempio in Danimarca e Irlanda. Un tale disprezzo per gli esiti democratici può aver agito da barriera per i potenziali manifestanti, semplicemente perché non vogliono essere associati con esso.

La sinistra assente

Il terzo motivo riguarda il ruolo della sinistra. Le manifestazioni di massa sono state generalmente organizzate da rivoluzionari o dalla sinistra radicale. Esempi dalla metà degli anni Sessanta comprendono la Vietnam Solidarity Campaign, l’Anti-Nazi League / Rock contro il razzismo, la Anti-Poll Tax Federation e la coalizione Stop the War.

Ma la stragrande maggioranza della sinistra radicale è sempre stata contro l’UE e ha fatto attivismo per quella che è stata battezzata “lexit”.

Gli attivisti coinvolti nella lexit si sono auto-esclusi dal loro ruolo canonico per mobilitarsi verso posizioni di estrema destra. Il partito laburista, che ha di gran lunga più membri dell’estrema sinistra – in particolare dopo l’elezione di Jeremy Corbyn – avrebbe potuto scegliere l’allentamento. Eppure, al di là dei rappresentanti in parlamento del partito laburista, in gran parte eurofili, il leader e una buona parte dei neo-iscritti sono, nella migliore delle ipotesi, profondamente ambivalente verso l’Unione europea e, di conseguenza, non disposti o non in grado di prendere l’iniziativa e organizzare dimostrazioni.

Paura degli attacchi

Il quarto motivo riguarda le persone più direttamente colpite dalla Brexit: i 2,9 milioni di cittadini UE che vivono nel Regno Unito. L’argomento dominante dell’estrema destra che ha portato all’uscita aveva come focus proprio questo gruppo, il che ha portato alcuni di loro ad essere presi di mira con abusi verbali e vere e proprie violenze. Per dimostrare davanti a questi livelli di ostilità servono livelli abbastanza straordinari di coraggio e tenacia. Alcuni cittadini dell’UE sono scesi in piazza, ma la pressione verso di loro e la tentazione di evitare di attirare l’attenzione è notevole.

La quinta ragione è la pressione esercitata dai media di destra. Celebrità come Kate Beckinsdale e Jamie Oliver che hanno espresso la loro opposizione alla Brexit sono state ridicolizzate e definite lontane dalle preoccupazioni di tutti i giorni. I membri della magistratura che hanno il compito di interpretare il diritto costituzionale sono stati denunciati in termini quasi stalinisti dal Daily Mail come “nemici del popolo”.

Se i ricchi e potenti sono sottoposti a questo livello di abusi, allora cosa si possono aspettare i cittadini comuni?


*su gentile concessione di:


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