Inumanimal è il viaggio che non vorremmo mai vederci costretti ad intraprendere, ma a cui sono soggiogati – ogni anno, giorno e istante in un incessante inferno- milioni di animali negli allevamenti intensivi.
Attraverso un linguaggio corporale spoglio quanto diretto e fremente, l’intensa interpretazione teatrale di Teodora Mastrototaro e Savino Lasorsa è capace di farci intraprendere empaticamente quel viaggio, di tenerci incollati a quel posto a sedere all’interno di uno spazio teatrale liquido, adesso identificabile col treno regionale che prendiamo tutti i giorni per andare al lavoro o ripetere gesti consumati dalla routine; adesso invece pronto a prendere le sembianze del carro-bestiame dentro il quale vengono ammassati gli animali che finiranno squartati, impacchettati, etichettati e distribuiti nei supermercati di immensi franchising vicino a casa nostra o al nostro ufficio.
E da lì ce li ritroveremo nel treno regionale, proprio nella busta della spesa del giovane passeggero, infastidito dalla telefonata del padre che vuole sincerarsi se il figlio ha comprato il Tenerone, il latte fresco freschissimo come anche le uova e -in una fiera dell’ebetaggine delle più ridicole- vuole ripeta ritornelli di canzoni dai versi grondanti banale, distratta ma persistente violenza. Del resto la circolarità, sequenzialità e tangenza degli scenari presentati in Inumanimal narra proprio il dipanarsi di quella banalità del male perpetuata mentre la quotidianità corre e i soggetti purtroppo non riescono a specchiarsi nella tragicità di ció che accade o viene detto loro, nulla vibra nelle loro ossa.
I vari personaggi inscenati da Savino Lasorsa sono proprio il riflesso di questa ostinata ottusità. Sono indifferenti, amano vivere di apparenze e portare a termine il loro compito senza porsi domande, piuttosto che aprire gli occhi di fronte alle richieste di umanità dei personaggi interpretati da Teodora Mastrototaro, dai tratti invece cangianti ed essenzialmente animali, femminili, in prigionia, intrappolati o feriti. Con l’incedere della performance, questa accumulata indifferenza diventa un coaugulo di malvagità e sadismo, una macchia che non va via.
Una scena di Inumanimal risulta centrale nella struttura dell’opera e del lavoro sulla persona. È il momento in cui l’animale è rinchiuso da ore in nel carro-bestiame fermo ad un semaforo. Qualcuno ha visto mio figlio? È la domanda senza risposta di una scrofa separata dai suoi porcellini. Sentiamo l’asfissia, il puzzo di merda e piscio, l’oscurità, la costrizione, la fame e la sete. Lei continua a lagnarsi, a chiamarci con insistenza. Siamo disperati come lei, con lei? O continuiamo ad essere menefreghisti? Non possiamo eludere le nostre reali sensazioni, ogni spettatore ha di fronte il proprio specchio interiore. Sembra essere questa la forza di quest’opera teatrale. Un teatro minimo, prossimo ad un laboratorio aperto sull’umanità che non c’è.
Un lavoro teatrale che procede paralellamente a quello poetico di Teodora Mastrototaro con Rape Rack (Asse da stupro), fino a nutrirsi e contagiarsi mutuamente, come sottolinea Pippo Marzulli in questa nota: “Rape Rack (Asse da stupro) è un pugno nello stomaco, senza dubbio un lavoro impegnato e maturo che ha il coraggio di toccare una tematica scomoda come quella dello sfruttamento degli animali negli allevamenti intensivi e non solo. È una raccolta di liriche che gronda sangue macchiando le mani del lettore, che permea le narici del nauseabondo puzzo del mattatoio, che stride come le urla di dolore dell’agnello diretto al macello/massacro. Predominante è l’attitudine, da parte dell’autrice, di un linguaggio teatrale fatto di immagini “senza tempo – d’altri tempi” e contatto fisico che diviene fisicità carnale”.
Stefano Liberti nel suo ultimo lavoro d’inchiesta, I signori del cibo. Viaggio nell’industria alimentare che sta distruggendo il pianeta (Minimum fax, 2016), mette in evidenza l’olocausto creato dall’industria della carne e dei prodotti derivati.
Ad esempio, sono circa 700 milioni i maiali allevati in Cina, corrispondenti alla metà della produzione mondiale, e per alimentarli si devono importare quantità stratosferiche di soia transgenica, importata dal Brasile, in zone che una volta erano foreste e ora sono disboscate a ritmi impressionanti per dare spazio a queste produzioni. Tutto per mantenere in piedi consumi invece sconsigliati da tutti i massimi organi internazionali sulla salute, ma spronati da alcuni gruppi finanziari lanciatisi in questo business, soprattutto dopo la crisi del settore immobiliare del 2007 negli Stati Uniti. È un circolo vizioso che vediamo nella realtà e ritroviamo riflesso perfettamente nell’opera teatrale Inumanimal.
Si percepisce infatti nettamente la necessità di unire vari fronti, come nella proposta di Peter Singer, uno dei massimi referenti nella lotta antispecista che chiamava a considerare lo specismo una delle tante facce della discriminazione, assieme al razzismo e al sessismo. Quella scrofa che si chiede Qualcuno ha visto mio figlio? potrebbe benissimo essere una donna messicana, somala o siriana chiusa in un furgone, nelle mani di trafficanti di vite umane.
Foto in articolo a cura di Matteo Montaperto
L’ARTICOLO È PARTE DEL 6° NUMERO DE LA MACCHINA SOGNANTE, UNA RIVISTA DI SCRITTURE DAL MONDO. OGNI SETTIMANA FRONTIERE NEWS PUBBLICA UN ARTICOLO SELEZIONATO DALLA REDAZIONE DE LA MACCHINA SOGNANTE.
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