Sono passati 7 anni dalla Rivoluzione dei gelsomini, il detonatore delle “primavere arabe”. E la Tunisia che è stata la prima è rimasta anche unica negli sviluppi: una nuova costituzione, un parlamento regolarmente eletto, sia pure tra convulsioni non di poco conto e attentati islamisti. Senza contare l’alto numero di combattenti tunisini in Siria.
Ma lo Stato e lo società civile hanno “tenuto” e gli attentati sanguinosi di due anni fa al museo del Bardo e sulle spiagge di non sembrano aver ridotto più di tanto il turismo, che il Paese è povero e l’euro forte lo rende particolarmente apprezzato dai turisti occidentali, francesi, italiani, tedeschi e russi. Specie nelle località marine ci sono molti pensionati italiani che svernano o risiedono in pianta stabile. Ad Hammamet poi, appurato che sei italiano, chiunque ti indica il piccolo cimitero cristiano dove riposa Craxi, meta più turistica che nostalgica, che nel libro delle presenze accanto alla tomba i giudizi si dividono ancora irrimediabilmente.
In giro per la Tunisia salta all’occhio il contrasto tra la capitale e la costa ed il resto del Paese, tra la vetrina buona e la realtà. Molti anziani mi hanno fermato per esprimermi anche lo scoraggiamento per la situazione economica, una ex guida turistica sintetizza così il suo pensiero: “Prima della rivoluzione non c’era libertà ma c’era lavoro, adesso c’è libertà ma non c’è il lavoro”. Un giovane lo rimbecca immediatamente: “Non si stava meglio prima, ma è vero che la corruzione e la disoccupazione sono oltre i limiti di guardia”.
Chi può se ne va in Europa, ma la popolazione, al contrario di quel che accade in Italia, è in larga parte sotto i trent’anni e questo spinge impetuosamente la rabbia e la protesta anche attraverso i social. Mi spiegano che un gruppo trasversale che sta avendo molto successo e organizzando mobilitazioni si chiama “che cosa stiamo ancora aspettando”. Non posso fare a meno di notare posti di blocco fuori da ogni città e la blindatura degli incroci principali e dei palazzi del potere a Tunisi, con filo spinato, cavalli di frisia, polizia ed esercito. Pare in funzione anti-Isis, ma all’esplodere delle manifestazioni per i rincari di inizio anno che colpiscono la gran parte della popolazione, questa distinzione non appare più così netta.
Come sette anni fa i moti principali sono partiti nelle province povere, ma presto hanno raggiunto anche la capitale. Mentre raggiungo l’aereoporto per il volo di ritorno feriti ed arresti si contano a centinaia. Il tassista mi saluta e mi dice che ormai il Paese vive sull’orlo di una crisi di nervi. Buon anno, speriamo.
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