A Göteborg, nell’affollato sobborgo di Biskopsgården, un’amicizia finita male si è trasformata in una sanguinaria guerra tra bande che ha causato decine di morti, tra cui diversi bambini.
Racconto di Joshua Evangelista in collaborazione con Freshta Dost. Illustrazioni di Luca Ortello
Il piccolo Yuusuf dormiva accovacciato con la mamma, il fratello e la sorellina quando una granata sfondò la finestra dell’appartamento, rimbalzò sul muro e rotolò vicino al suo corpicino. Dopo l’esplosione, ci volle qualche minuto perché sua madre si rendesse conto di essere coperta di sangue. Yuusuf, 8 anni, morì mentre veniva portato in ospedale. Era il 22 agosto 2016.
La morte di Yuusuf Warsame, origini somale e cittadinanza britannica, fece salire alla ribalta internazionale Biskopsgården, un sobborgo di Göteborg. Il bimbo era l’ennesima vittima innocente di una incredibile escalation di omicidi tra bande rivali che dal luglio 2012 ha causato più di 30 morti.
Biskopsgården fa parte di Västra Hisingen, un distretto-isola della città svedese caratterizzato da ville mozzafiato, spa, gli stabilimenti e gli eleganti uffici in vetro della Volvo e golf club. Ma basta attraversare i binari del tram numero 5 per trovarsi tra i casermoni di Biskopsgården. Simbolicamente, i binari separano i più ricchi della città dai più poveri: a destra del tram si guadagna mediamente 429.500 corone all’anno (40.755,36 euro), a sinistra 114.870 (10.900 euro).
A tre anni e mezzo dalla morte di Yuusuf, quasi tutti gli attori coinvolti in questa storia alla Escobar sono morti o in carcere, e gli omicidi nel quartiere si sono ridotti drasticamente. Eppure, meno di un mese fa un ventenne è stato ucciso in una pizzeria del quartiere, riaprendo per l’ennesima volta la questione.
Ma andiamo con ordine. Erik [nome cambiato per motivi di sicurezza], 47 anni, nato e cresciuto a Biskopsgården, è stato per molti anni una figura chiave sulla scena criminale di Göteborg. Nel quartiere i bambini si riferiscono ancora a lui come “la leggenda”. Si offre di farci da Virgilio in questa discesa agli inferi.
Sulla scia degli Hells Angels
Quando gli chiediamo di raccontarci come sia nata questa follia collettiva, ci tiene a specificare che lui e i suoi amici inizialmente non erano divisi in vere e proprie bande, anche se affascinati e influenzati dalle gang di motociclisti come Hells Angels e Bandidos MC, parte della Grande guerra biker del nord. “Eravamo delle costellazioni di amici e ci dedicavamo ai furti. Tutto è cambiato quando il mercato della droga si è imposto violentemente: questi amici hanno iniziato a spararsi fra di loro”.
Il contesto è quello della grave crisi del 2008, in cui l’industria automobilistica svedese venne duramente colpita. Un problema serio se interi quartieri vivono solo grazie alla Volvo. Così, disperati, tanti ragazzi si sono riversati per strada come manodopera dei trafficanti biker, che portavano la droga dalla Danimarca. Ma questo non basta per capire come sono nate le bande.
Il colpo del secolo
Tutto è iniziato con una rapina spettacolare, una pietra miliare della storia del crimine svedese. Nel marzo del 2006, probabilmente grazie alla soffiata di un dipendente, una Jeep Cherokee distrugge i cancelli dell’aeroporto di Landvetter e si fionda verso un’aereo della Scandinavian Airlines che portava ingenti quantità di denaro: un colpo da quasi otto milioni di corone svedesi. La polizia arresta i ladri e tra questi uno più di altri diventa noto: Mohammad Selman, una delle menti del colpo.
Dormono tutti sulla collina
Erik ci invita ad andare a trovare Selman e i suoi amici al cimitero musulmano di Hisingen. Quando sono morti, la maggior parte di loro avevano poco più che venti anni. Si sono fatti la guerra e ora riposano vicini, quasi uno a fianco all’altro.
Torniamo alla storia. Mentre Selman è in carcere succede un fattaccio. La sua fidanzata si innamora di un altro membro della gang.
Passeggiando tra le lapidi Erik si ferma davanti alla tomba di un giovane di nome Diren Öz, nato nel 1989. Sulla lapide è scritto: “Preferirei morire in piedi piuttosto che vivere in ginocchio”, una celebre frase attribuita a Emiliano Zapata, leader della rivoluzione messicana. “È lui”.
Diren Öz è stato ucciso il 5 luglio 2012 fuori dalla porta della casa di sua madre con diversi colpi alla testa. Già l’inverno precedente aveva subito un attentato andato male. Gli assalitori avevano svuotato due caricatori di mitragliatrice contro la macchina nella quale era seduto.
“Diren si fidanzò con la ragazza del suo amico Mohammad Selman mentre questi era in prigione. Quando Mohammad è stato rilasciato, lui e suo fratello Mahmoud volevano vendicarsi di Diren e alla fine sono riusciti a ucciderlo. La guerra è iniziata a causa di una ragazza”, racconta Erik, che era amico di entrambi. I fratelli Salman sarebbero morti nel 2015, freddati in due diversi agguati.
Si erano ufficialmente formate due gang, Vårvädersligan e Friskvädersnätverket, dai nomi di due vie del quartiere. Amici per la pelle da quel momento erano costretti a combattersi, senza esclusioni di colpi.
Eravamo quattro (ex) amici al bar
“A un certo punto non era più sufficiente sembrare forti: per conquistare lo spazio criminale e dimostrare che non eri debole, dovevi uccidere le persone dell’altro gruppo” racconta Daniel Neck, che per 12 anni ha fatto il poliziotto a Biskopsgården. “Le bande sono nate da persone che si conoscevano da quando erano bambini. Ora sono cresciute, e nella maggior parte dei casi sono morte o in prigione. Ma il testimone è stato preso da nuove leve che hanno continuato a combattersi”.
La sera del 18 marzo 2015 Hussein Chit, il nuovo leader di una delle bande, la Vårvädersligan, stava guardando una partita di Champions League insieme a suo fratello minore nell’unico pub del quartiere quando due persone col volto coperto entrarono nel ristorante e aprirono il fuoco con armi automatiche, uccidendo lui e il deejay Petar Petrovic, la cui unica sfortuna era voler vedere un match di calcio nel momento e nel posto sbagliato. Altre dieci persone rimasero ferite, tra cui il fratello di Hussein, che è sopravvissuto nonostante fosse stato colpito in viso.
Questo episodio ha trasformato quello che era considerato un conflitto locale tra ragazzini in un caso nazionale, provocando un forte dibattito nei media svedesi sullo stato di sicurezza delle periferie. Per la sparatoria nel pub, il tribunale del distretto di Göteborg ha condannato all’unanimità cinque uomini a lunghe pene detentive.
Tra questi Ahmed Warsame, cugino del piccolo Yuusuf Warsame, identificato come uno dei due assassini che sono riusciti a entrare nel pub e aprire il fuoco contro i clienti. Condannato all’ergastolo, era dietro le sbarre quando venne a sapere della morte di suo cugino di 8 anni, che dormiva nell’appartamento dove era registrato Ahmed e dove fu lanciata la granata. Per l’attentato nessuno è stato condannato e il principale sospettato è stato ucciso prima di essere arrestato.
Conosciuto nel sobborgo come “Silence”, Warsame afferma di essere innocente e rivendica la sua diversa provenienza: non è cresciuto a Biskopsgården e ha vissuto a lungo nel Regno Unito. Innocente o colpevole, la guerra tra gang è diventata internazionale.
Dalla nazione svedese al carcere
Anche Josef Hällgren Abdulrahman, un talento calcistico di 21 anni che ha giocato per la nazionale svedese Under 16 e contattato anche da importanti club europei come Chelsea e Amburgo, è stato condannato a 14 anni per le sparatorie.
L’insegnante Lotta Slim lo conosceva molto bene. Ha lavorato per oltre dieci anni in un programma speciale per i ragazzi di Biskopsgården coinvolti nelle faide tra bande. Le sue lezioni erano seguite contemporaneamente da studenti di entrambi gli schieramenti.
“Venivano a scuola con coltelli, droghe e pistole. Ora alcuni di loro sono in prigione, altri sono morti. Direi che riusciamo a recuperare solo la metà dei giovani che partecipano ai nostri programmi”.
Lotta descrive Josef come un “talento unico” che “è diventato dipendente dalla marijuana e ha iniziato a spacciare” per poter acquistare la sua dose giornaliera. Josef aveva frequentato molto casa sua, poiché era diventato molto amico dei figli.
L’eredità di Pantrarna
Josef Hällgren Abdulrahman, Diren Öz e altri membri di entrambe le bande erano strettamente o direttamente coinvolti nelle attività di Pantrarna, un collettivo di giovani attivisti cresciuto a Biskopsgården ispirato al movimento americano Black Panther. Il loro impegno era quello di cambiare l’immagine mediatica del sobborgo e di combattere quelli che chiamavano “indifferenza politica e pregiudizi esterni”.
Sciolto dopo gli ultimi omicidi, Pantrarna si stava battendo contro il consiglio distrettuale locale per ottenere un centro in cui i giovani potessero incontrarsi. La mancanza di punti di incontro sociale sembra essere infatti uno dei motivi per cui è così facile reclutare giovani nelle bande del Biskopsgården.
“Venti anni fa c’erano molte attività per i giovani. Penso che la violenza delle bande non verrà interrotta montando telecamere o mandando più poliziotti nell’area. I giovani devono essere coinvolti in attività”, afferma Hassan Slim, cittadino svedese di origine palestinese che vive a Biskopsgården da diversi anni.
Neutrala è un’associazione giovanile che ha ricevuto riconoscimenti per l’impegno mostrato nel combattere la criminalità nell’area, mantenendo ogni giorno circa 80 giovani occupati nel calcio e in altre attività sociali. La portavoce Aliyare Gaani spiega che la sua organizzazione ha combattuto per molti anni per avere un centro giovanile, ma senza successo. Gaani descrive la parte settentrionale del sobborgo, dove si svolgono le attività di Neutrala, come un “luogo dimenticato dalle autorità”.
“La politica ha fallito”
“È chiaro che a Biskopsgården la politica ha fallito. Abitanti e ong sono stanchi di ricevere promesse che non possono essere mantenute”, afferma Sergio Garay, direttore dell’amministrazione di Västra Hisingen (il distretto di Göteborg di cui fa parte Biskopsgården). Una tesi completamente confermata da Hector Valera, un famoso allenatore di calcio che è fuggito dal Cile di Pinochet negli anni ’70 per ritrovarsi a Biskopsgården. Qui negli anni ha allenato centinaia di giovani atleti, per lo più migranti provenienti da oltre 40 paesi. Uno di questi era Josef Hällgren Abdulrahman. “I politici sono un peso. Non li ho mai visti qui. So che ci sono 1500 rappresentanti che lavorano nella zona, ma sono bloccati nei loro uffici”, afferma l’allenatore Valera.
La grande sfida resta la scuola, dove è necessario un vero cambiamento. “Serve un’alternativa alle strade e ai loro appartamenti sovraffollati, che spesso condividono con più di sette o altre otto persone. Dobbiamo coinvolgere anche i genitori nelle attività”, spiega Garay.
Una calma apparente
Sebbene la situazione sembri più calma e le istituzioni stiano introducendo nuove strategie, l’allenatore Hector Valeria, che conosce il quartiere come pochi, avverte che “in superficie può sembrare più calmo, ma c’è un ‘movimento’ sotterraneo. E non stiamo più parlando di criminali di 20 anni, ma di bambini di 10 o 11 anni cresciuti nelle strade”.
Secondo la polizia, le persone coinvolte nel crimine sono meno di 200 su una popolazione di oltre 25.000 abitanti. L’attacco con granate e il massacro al pub hanno sollevato l’attenzione internazionale verso Biskopsgården e in diverse occasioni le notizie giornalistiche sul crimine hanno dipinto immagini fuorvianti del quartiere e dei suoi abitanti, non riuscendo a contestualizzare il crimine in una cornice di povertà e segregazione.
“C’è un interesse a mantenere un quadro negativo di Biskopsgården agli occhi del pubblico il più a lungo possibile”, afferma il cugino di Chit, anche lui di nome Hussein, che ha criticato pubblicamente il modo in cui i media svedesi hanno coinvolto la sua famiglia nelle notizie. “Esattamente come in qualsiasi altro posto, i giovani di Biskopsgården vogliono raggiungere un certo livello di successo nella vita. Tuttavia non hanno gli stessi privilegi dei bambini del centro città. Le pressioni che hanno qui sono ben diverse da quelle a cui sono sottoposti in altre aree. Lo stesso vale per le loro aspettative concrete”.
È difficile dire quanti dei morti di Biskopsgården sono scaturiti dalla prima vendetta di Mohammad Selman. Sicuramente più di trenta. Nella città smart per antonomasia, dove i bus saranno a breve tutti elettrici, si continua a morire a vent’anni. All’inizio la guerra era tra ragazzini affiliati a bande di motociclisti, poi sono subentrati i figli di finlandesi, turchi e iugoslavi, ora sono principalmente somali. Per segregarli basta il binario di un tram e farli litigare per chi deve distribuire la droga ai ricchi bianchi del centro città.
Profilo dell'autore
- Responsabile e co-fondatore di Frontiere News. Scrive di minoranze e diritti umani su Middle East Eye, Espresso, Repubblica, Internazionale e altre testate nazionali e internazionali
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