Floyd, Minneapolis e noi. I numeri di una sconfitta collettiva

Analisi di Yeshimabeit Milner, direttrice esecutiva di Data for Black Lives

Noi di Data for Black Lives siamo infuriati per l’omicidio di George Floyd da parte della polizia a Minneapolis. Ci uniamo ad altre organizzazioni nel sollecitare il procuratore distrettuale di Hennepin affinché accusi immediatamente gli ufficiali che hanno ucciso George Floyd. Riteniamo che sia necessario sostenere le richieste di rimuoverne i fondi e abolire la polizia per come è. Ma non ci si può fermare qui. Dobbiamo riconoscere che l’omicidio per mano delle forze dell’ordine è solo una delle forme di violenza tollerate dallo stato.

La polizia è un sottoprodotto di sistemi più grandi, più insidiosi, ma spesso meno visibili. La polizia esiste per proteggere il capitale bianco e rafforzare le condizioni economiche e politiche già esistenti. Sappiamo che quando vediamo pratiche aggressive da parte della polizia, dietro ci sono forme più brutali di disuguaglianza economica e sociale.

Dal 2000, la a polizia di Minneapolis – St Paul ha ucciso 49 persone. Di queste, il 25% era nero. Onoriamo i ricordi di tutti coloro la cui vita è stata interrotta a causa di un omicidio compiuto dallo stato. Ecco alcuni dei loro volti. Per rispetto dei morti e delle loro famiglie, non abbiamo incluso le immagini di molte persone che erano state uccise, poiché le uniche foto disponibili nel database sono foto segnaletiche.

Non aspetteremo un’altra tragedia per essere solidali con le comunità nere di Minneapolis, delle Twin Cities e dello stato del Minnesota. Perché per i neri di tutta l’America, la recente tragedia di Minneapolis e le ingiustizie che i neri del Minnesota affrontano da anni sono una metafora del nostro mondo.

Data for Black Lives è un movimento di scienziati e attivisti che lavorano per rendere i dati uno strumento di cambiamento sociale, anziché un’arma di oppressione politica. Sin dall’inizio di Data for Black Lives, uno dei principali obiettivi del mio lavoro come direttrice esecutiva è stato quello di imparare dai leader delle città di questo paese che lavorano nelle trincee delle condizioni più opprimenti. Attraverso il nostro programma di hub, conferenze e altre attività trovo il modo per sostenere e amplificare la loro leadership a livello nazionale e globale.

Ho avuto l’opportunità di viaggiare verso le Twin Cities – scoprendo cosa significasse vivervi da neri, latini o nativi – dopo che i funzionari eletti della Contea di Ramsey hanno annunciato un accordo sulla condivisione dei dati sui poteri congiunti che avrebbe aggregato i dati tra le diverse agenzie per creare “rapporti di rischio” che sarebbero stati usati sugli studenti.

Gli attivisti temevano che sarebbe diventato l’algoritmo che avrebbe portato le persone dalla culla alla prigione. I leader della comunità sapevano che i rapporti di rischio avrebbero solo rafforzato la disuguaglianza razziale esistente da molto tempo, in una città che si colloca tra le prime del paese per disparità razziali. La campagna ha portato a una vittoria: la coalizione, ora conosciuta come l’organizzazione Data for Public Good, ha costretto il sindaco e altre agenzie a sciogliere l’accordo.

Ora il mondo intero è testimone delle condizioni materiali affrontate dai neri del Minnesota. Una confluenza di fattori sociali, politici ed economici: politiche messe in atto molto tempo fa hanno minato l’umanità e negato la dignità dei neri, relegando intere comunità allo status di casta inferiore.

Ho appreso dai leader neri del “Minnesota Nice”, un termine che descrive la cordialità e l’avversione allo scontro che molti Minnesotani sostengono, una gentilezza che è stata anche efficace nel mascherare l’ostilità dei sentimenti razziali e nel negare l’esistenza del razzismo strutturale.

Molte persone in tutti gli Stati Uniti vedono Minneapolis e St. Paul come liberal e slegate dalla storia di razzismo che caratterizza il sud. Ma i dati raccontano una storia diversa¹:

  • I neri di Minneapolis hanno quattro volte più probabilità dei bianchi di vivere al di sotto della soglia di povertà
  • Le famiglie nere a Minneapolis guadagnano 34.174 dollari all’anno, il 43,4% della media di una famiglia bianca e 4.000 dollari in meno rispetto alla media delle famiglie nere a livello nazionale
  • Le persone nere hanno maggiori probabilità di essere incarcerate e hanno probabilità sproporzionate di subire brutalità da parte della polizia.
  • Solo il 24% dei neri è proprietario delle proprie case a Minneapolis, rispetto al 74% dei bianchi
  • Il tasso di disoccupazione dei neri è quasi quattro volte superiore al tasso di disoccupazione dello stato.
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Mentre i neri di Minneapolis sono stati ridotti allo status di casta inferiore, le comunità bianche hanno prosperato. Mentre i residenti bianchi dell’area metropolitana delle Twin Cities stanno meglio degli americani bianchi a livello nazionale in una serie di valutazioni, la popolazione nera della zona è messa peggio in parecchi parametri rispetto alla popolazione nera a livello nazionale. La tipica famiglia bianca a Minneapolis guadagna 78.706 dollari all’anno, oltre 17.000 dollari in più rispetto alla cifra nazionale, mentre i neri in Minnesota guadagnano 4.000 dollari in meno rispetto ai neri negli altri stati.

Ciò è inaccettabile considerando la ricchezza dello stato e l’abbondanza di opportunità disponibili nelle città gemellate, opportunità che sono state abitualmente negate ai neri.

Lo stato del Minnesota è il decimo stato più ricco dell’intera nazione (ospita 6 miliardari e la regione metropolitana Minneapolis St. Paul è la tredicesima economia del paese in base al PIL³). Il Minnesota è anche uno degli stati con il maggior numero di sedi principali di aziende elencate tra le 500 più ricche della rivista Fortune. Tra queste Target, Best Buy, Cargill, General Mills e United Health⁴.

Nel frattempo, un abitante nero del Minnesota su tre ha presentato domanda di disoccupazione dall’inizio della crisi COVID-19⁵, mentre un numero relativamente basso di lavoratori bianchi ne ha fatto richiesta, rivelando quali comunità stanno vivendo peggio la crisi economia da pandemia.

Jim Crow del Nord

Come è potuto accadere che i neri di Minneapolis abbiano dovuto affrontare alcune delle situazioni economiche più violente mentre i bianchi hanno costruito una ricchezza sostanziale, superando quella di molti altri stati?

Come abbiamo anche appreso dalla crisi COVID-19 nelle comunità nere, la causa principale di queste disparità è fondata su vecchie storie di politiche pubbliche aggressive che hanno stabilito con successo un sistema di razzismo strutturale profondamente radicato, con la conseguenza di aver portato non solo al degrado delle comunità nere, ma anche una mobilità verso l’alto dei bianchi.

Mentre esattamente in questo momento le comunità nere di Minneapolis vengono demonizzate per le rivolte in risposta alla morte di George Floyd, gli scontri come tattica della violenza della “folla” bianca sono endemiche nella storia del Minnesota. In effetti, il Minnesota all’inizio del XX secolo fu segnato da un livello di violenza razziale e di terrore che oggi lo ha reso noto come il Jim Crow del Nord. Il 15 giugno di quest’anno ricorre il 100esimo anniversario dei linciaggi di Duluth: l’omicidio dei tre lavoratori neri Elias Clayton, Elmer Jackson e Isaac McGhie⁶. Dopo che una donna bianca mentendo li accusò di stuprò, sei uomini neri furono arrestati e detenuti nella prigione della città di Duluth.

Mentre la notizia si diffondeva, e sebbene ci fossero prove evidenti del fatto che lo stupro non fosse accaduto, ne seguì una rivolta: una folla arrabbiata di 10.000 persone armate con mazze e altre armi irruppe nella prigione con l’aiuto del commissario di polizia e trascinò fuori dalle loro celle Clayton, Jackson e McGhie. Infine le fece linciare su un palo della luce. Una grande giuria incriminò trentasette persone per rivolta, mentre nessuno venne condannato per omicidio. Nessuno andò in prigione.

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Il terrore assunse forme esplicite e violente ma anche sottili e istituzionali. La violenza razziale fu stata scritta attraverso la pubblicazione di atti e contratti di case sotto forma di alleanze razziali. Applicate dalla violenza della folla bianca e dai legislatori locali (gruppi che non si escludevano a vicenda) queste alleanze tenevano i neri fuori dalla maggior parte dei quartieri delle Twin Cities e venivano usate per negare l’accesso alla proprietà della casa, sequestrando intere comunità in quartieri che venivano svalutati, controllati e segregati.

Le alleanze razziali iniziarono nel 1910 e, nel 1940 i neri furono confinati in tre piccoli quartieri tra cui North e South Minneapolis. E anche se i tribunali federali hanno dichiarato illegali le alleanze razziali nel 1948, l’impatto è ancora sentito oggi.⁷

Un manifestante regge un cartello che fa riferimento al sindaco di Minneapolis Jacob Frey a una manifestazione nel giugno 2019.

George Floyd è stato assassinato nella zona sud della città, nel quartiere di Powderhorn Park. L’area un tempo era un fiorente e storico quartiere di attività condotte da nero che fu in seguito devastato dalla costruzione della Interstate Highway 35W⁸. Oggi, le imprese dei neri stanno soffrendo poiché un ingente afflusso di capitale privato, gli affitti in aumento e lo sviluppo immobiliare minacciano di trasformare totalmente l’area⁹.

Secondo uno studio condotto dall’Università del Minnesota, il Powderhorn Park è uno dei quartieri che gentrificano più rapidamente e mentre i residenti bianchi si spostano nel quartiere di South Minneapolis, gli affitti sono aumentati¹⁰. Mentre i bianchi sono in grado di tornare in città dalla periferia e altri gruppi potrebbero essere in grado di trarre vantaggio dai cambiamenti del quartiere, i dati del 2016 hanno rivelato che non c’era un solo quartiere nella città di Minneapolis in cui una famiglia nera con reddito medio potrebbe permettersi di vivere¹¹ (vedi tabella sotto).

L’altra America

In questo preciso momento in tutto il paese sorgono proteste in risposta non solo all’omicidio di George Floyd, ma a Breonna Taylor e alle altre vittime della violenza della polizia. I social media e i lanci di agenzia sono pieni di immagini di scontri, negozi saccheggiati e recinti della polizia che bruciano. Ma la nostra domanda rimane: chi ha appiccato il fuoco?

Crediamo che condannare le azioni dei manifestanti ma al contempo rifiutare di condannare le condizioni che hanno creato questa crisi di disperazione, assenza di speranza e rabbia, è irresponsabile, crudele e immorale. Il 14 marzo 1968 Martin Luther King tenne il discorso “L’altra America”, e dal discorso emerge una frase necessaria per definire le proteste del passato, presente e futuro: la rivolta è il linguaggio dei non ascoltati.

Dobbiamo continuare a condividere questa frase e portarla al cuore del discorso. Ma dobbiamo anche leggerla nel contesto. Nel discorso tenuto alla Gross Point High School di Detroit, il dr. King descrisse due Americhe:

“Ci sono due Americhe. Un’America con una bella situazione. In questa America milioni di persone hanno il latte della prosperità e il miele dell’uguaglianza che scorre davanti a loro. Questa America è l’habitat di milioni di persone che hanno necessità alimentari e materiali per i loro corpi, cultura ed educazione per le loro menti, libertà e dignità per i loro spiriti […] Ma poi c’è un’altra America. Quest’altra America ha una bruttezza quotidiana che trasforma l’assetto della speranza nella fatica della disperazione. In questa America, gli uomini camminano per le strade alla ricerca di posti di lavoro che non esistono […] E così in quest’altra America la disoccupazione è una realtà […] Quindi la stragrande maggioranza dei neri in America si ritrova a morire su un’isola solitaria di povertà, nel mezzo di un vasto oceano di prosperità materiale […]”

Continua ancora oggi a riferirsi all’amarezza, al dolore e all’angoscia che noi, come neri, abbiamo provato ogni singolo giorno, mentre affrontiamo condizioni che negano la nostra umanità, rendendoci impossibile prosperare, sopravvivere, respirare. Più di cinquant’anni dopo, questo discorso suona vero: queste sono le condizioni che fanno sì che le persone sentano di non avere altra alternativa che impegnarsi in violente ribellioni per attirare l’attenzione. La domanda che risuona è: se la rivolta è la lingua degli inascoltati, qual è il messaggio che l’America non è riuscita a cogliere?

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Ho iniziato Data for Black Lives tre anni fa per disperazione. Ero disperata perché volevo vedere che le cose che amavo di più – i dati e la tecnologia – venissero usati per quella che credevo fosse la loro vera promessa: essere uno strumento per il cambiamento sociale. Ero alla disperata ricerca di una nuova forma di attivismo che potesse davvero cambiare le condizioni e dare potere alle persone. Quando abbiamo tenuto la prima conferenza di Data for Black Lives a novembre del 2017, sapevo che questa idea sarebbe andata oltre i dati e gli algoritmi: avrebbe avuto a che fare con le persone e l’affermazione della vita.

Data for Black Lives riguarda l’uso della datafication della nostra società affinché si possano fare richieste audaci per la giustizia. Si tratta di costruire la leadership di scienziati e attivisti e di potenziarli con le competenze, gli strumenti e l’empatia per creare un nuovo progetto per il futuro.

Ma alla base, Data for Black Lives riguarda la vita e la santità della vita. Si tratta di affermare la vita in un sistema che richiede la morte, i corpi umani come tributo. Affermare la vita per noi significa esporre e smantellare tutte le condizioni che hanno lasciato i neri in uno stato di perpetua disuguaglianza. Ma soprattutto significa risorgere la speranza, le possibilità che abbiamo seppellito con i nostri cari morti.

E non perdiamo la speranza, guadagniamo solo potere. Ci impegniamo a fare in modo che se qualcosa dovesse uscire da questo momento, vada oltre una riforma temporanea e diventi cambiamento strutturale a lungo termine.

Spero che tu possa far parte di ciò che stiamo costruendo.


Note:

  1. Per capire di più sulla metodologia di questi calcoli si legga qui.
  2. https://247wallst.com/special-report/2019/11/05/the-worst-cities-for-black-americans-5/5/
  3. https://www.bea.gov/data/gdp/gdp-county-metro-and-other-areas
  4. https://www.startribune.com/why-do-so-many-fortune-500-companies-call-minnesota-home/561251031/?refresh=true
  5. https://www.southernminn.com/faribault_daily_news/news/state/article_8f0d35bb-7b04-5174-a3c1-584a8535b59d.html
  6. https://www.mnopedia.org/event/duluth-lynchings
  7. https://www.mnopedia.org/place/southside-african-american-community-minneapolis
  8. https://www.citylab.com/equity/2020/01/minneapolis-history-housing-discrimination-mapping-prejudice/604105/
  9. https://www.mprnews.org/story/2019/06/17/south-minneapolis-gentrification-marlas-caribbean
  10. http://gentrification.umn.edu/sites/gentrification.dl.umn.edu/files/media/diversity-of-gentrification-012519.pdf
  11. http://gentrification.umn.edu/sites/gentrification.dl.umn.edu/files/media/diversity-of-gentrification-012519.pdf


Profilo dell'autore

Yeshimabeit Milner

Yeshimabeit Milner
Yeshimabeit Milner è fondatrice e direttrice esecutiva di Data for Black Lives. Da quando aveva 17 anni ha lavorato come attivista, tecnica ed esperta di dati in diverse campagne. Ha avviato Data for Black Lives dopo una lunga esperienza nel mondo dei dati, determinata a sfruttare il potere dei dati per apportare cambiamenti nella vita dei neri. In tre anni, Data for Black Lives ha ospitato due conferenze presso il MIT Media Lab, costruito un movimento di oltre 10.000 scienziati e attivisti e ha cambiato la conversazione su big data e tecnologia negli Stati Uniti e nel mondo.

Come fondatrice di Data for Black Lives, il suo lavoro ha ricevuto molti consensi. Yeshimabeit è Echoing Green Black Male Achievement Fellow, Ashoka Fellow e lavora con i fondatori di Black Lives Matter e Occupy Wall Street.

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1 Comment

  • Per favore: il titolo originale in inglese è “For Black people, Minneapolis is a metaphor for our world.” Con quale licenza lo traducete come “Floyd, Minneapolis e noi. I numeri di una sconfitta”? Abbiate un minimo di rispetto per l’autrice e per i movimenti americani: cambiate il titolo, per favore.

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