Cosa succede quando le sparatorie negli Usa non fanno più notizia? Un gruppo di ricercatori ha lanciato The Violence Project, un database sugli omicidi di massa negli States dal 1966 a oggi, per capire come migliorare la prevenzione. Intanto dalla politica non arriva nessuna misura soddisfacente per ridurre la vendita di armi.
Tre milioni e mezzo di vittime di covid fanno passare in secondo piano tutte le altre morti. Funzioniamo così, dobbiamo rassegnarci. Vale lo stesso negli Stati Uniti dove, in sordina, le sparatorie di massa non si sono mai fermate. Nonostante i lockdown. “Semplicemente”, spiega il New York Times, “non hanno avuto così tanta rilevanza pubblica”.
Se prendiamo come parametro la definizione del Gun Violence Archive (per sparatoria di massa si intende una sparatoria con almeno quattro o più persone ferite o uccise, escluso l’autore), nel solo 2020 ci sono state oltre 600 sparatorie di massa, rispetto alle 417 del 2019.
Una mattanza incredibile, alla quale nel 2021 hanno contribuito altre 232. L’ultima, al 30 maggio, è quella di mercoledì scorso a San Jose, in California, quando nove dipendenti pubblici impegnati nel cantiere della metropolitana della Santa Clara Valley sono stati uccisi, molto probabilmente, da un loro collega.
Se in Italia molte delle sparatorie statunitensi faticano a trovare le prime pagine dei giornali, come si comportano i giornalisti americani? Marc Lacey, editor del New York Times, ha provato a rispondere a questa domanda spiegano che i giornalisti devono attivare un “mass-shooting-mode”. “È davvero triste dover avere una modalità ‘sparatorie di massa’, ma accadono con una tale regolarità che devi sapere esattamente cosa farai”.
Un aspetto molto interessante della filosofia dietro la copertura giornalistica delle sparatorie da parte del New York Times, verosimilmente valido anche nelle altre principali testate americane, è che “non copriamo una specifica sparatoria di massa come un evento singolare ma come parte di un fenomeno americano che si ripete con regolarità”. Questo dovrebbe servire, spiega Lacey, “a cercare di capire perché accadono con così tanta costanza”.
Da quando è diventato presidente, Joe Biden ha esortato ripetutamente il Congresso ad approvare misure più rigorose per il controllo delle armi, in particolare bandire le armi d’assalto e i caricatori ad alta capacità, sulla cui vendita non ci sono limiti nemmeno in Europa. Tuttavia per Dartunorro Clark, giornalista politico di NBC, difficilmente nell’immediato si troverà una sintesi legislativa con riforme significative.
In attesa che la politica faccia la differenza, un pool di studiosi ha provato a tracciare delle linee di continuità nelle stragi dal 1966 a oggi per, soprattutto, lavorare alla prevenzione delle sparatorie di massa. Capire come evitare che la gente spari può sembrare una banalità, ma non lo è: molti progetti pubblici statunitensi destinati alle scuole per sensibilizzare gli studenti hanno come finalità ultima l’addestramento delle persone a reagire e difendersi durante la sparatoria piuttosto che un sostegno psicologico verso le persone vulnerabili o con difficoltà a socializzare che potrebbero essere influenzate da altre sparatorie.
Fondato dalla psicologa Jillian Peterson e dal sociologo James Densley, The Violence Project è un libro, un osservatorio senza scopro di lucro e un database con tutte stragi a mano armata avvenute nel territorio statunitense e da qualche settimana, grazie a “Off-Ramp”, fornisce uno strumento per la prevenzione.
Gli studi di Violence Project mostrano che la strada che porta un individuo o un gruppo di individui a perpetuare violenza di massa è lunga e complessa e generalmente include traumi infantili, tendenze suicide, radicalizzazione online e, soprattutto, accesso alle armi da fuoco.
Per arrivare a dei risultati quantificabili, il database codifica quasi 200 variabili sulle persone che sparano, tra cui la storia della propria salute mentale, i traumi, l’interesse manifesto per sparatorie precedenti. A queste vengono aggiunti fattori socio-ecologici legati alle comunità: tassi di criminalità, misure di disuguaglianza sociale, disponibilità di risorse per la salute mentale e numero di negozi di armi.
Off-Ramp prova a tradurre i risultati del database, a cui Frontiere News ha avuto accesso, in exit strategies concrete per individui, istituzioni e comunità.
“Abbiamo intervistato le famiglie di autori di sparatorie di massa e spesso ci hanno detto che sapevano che qualcosa non andava, ma non sapevano dove chiedere aiuto. Con Off-Ramp cerchiamo di rispondere a questa esigenza”, afferma il co-presidente James Densley.
Alla base c’è l’idea che politica e numeri possono sradicare il fenomeno. Su Off Ramp c’è un elenco completo di tutti i servizi di salute mentale e i progetti associativi locali per sostenere le persone in crisi o quelle preoccupate perché conoscono qualcuno sulla strada della violenza.
Insegnanti scolastici, amministratori, consiglieri, assistenti sociali, forze dell’ordine e professionisti della sicurezza, responsabili delle risorse umane e genitori possono anche iscriversi a moduli di apprendimento online su interventi di crisi, de-escalation, prevenzione del suicidio e sicurezza dei social media. “Abbiamo intervistato diversi autori di sparatorie di massa e abbiamo sempre chiesto se esistesse qualcosa che avrebbe potuto fermarli. Dicono sempre di sì. Di solito si tratta di una connessione umana”, spiega Jillian Peterson.
C’è un altro aspetto importante. Se è unanime tra gli studiosi l’idea che la prevenzione della violenza passi dall’identificazione e dall’intervento tempestivo (anche sui social), la risposta delle istituzioni americani è delegata alla giustizia penale. Il modello di Off Ramp, invece, ripensa la valutazione delle minacce comportamentali collegando gli studenti a risorse e servizi a lungo termine, evitando misure di esclusione come sospensione, espulsione e accuse penali.
La domanda che viene spontanea, consultando il materiale di The Violence Project, è se questo tipo di lavoro di prevenzione possa, da solo, cancellare l’emergenza.
Per David Hemenway, professore di politiche sanitarie alla Harvard T.H. Chan School of Public Health, per ridurre gli omicidi da arma da fuoco servirebbero attenzione al ruolo dei genitori, meno razzismo, una migliore istruzione, più opportunità di lavoro. Ma non basta, come ha spiegato alla Harvard Gazette.
“Gli interventi più concreti hanno a che fare con le armi. Ad esempio, per quanto ne sappiamo, praticamente tutti i paesi sviluppati hanno videogiochi violenti e persone con problemi di salute mentale. Non ci sono prove che io sappia che dimostrano che le persone negli Stati Uniti hanno più problemi di salute mentale. Rispetto ad altri paesi ad alto reddito siamo solo nella media in termini di criminalità non armata e violenza non armata. La cosa che ci distingue tra gli altri 29 paesi ad alto reddito, sono le nostre armi e le nostre deboli leggi sulle armi. Di conseguenza, abbiamo molti più problemi legati alle armi rispetto a qualsiasi altro paese ad alto reddito. Ogni altro paese sviluppato ci ha mostrato la strada per ridurre notevolmente i nostri problemi. Le nostre armi e le nostre leggi permissive sulle armi sono ciò che ci rende diversi da Francia, Italia, Paesi Bassi, Corea del Sud, Nuova Zelanda e così via”.
Profilo dell'autore
- Dal 2011 raccontiamo il mondo dal punto di vista degli ultimi.
Dello stesso autore
- Europa3 Marzo 2024La maglia multicolore che unì basket, musica e TV per la Lituania libera dall’URSS
- Universali3 Marzo 2024Il vero significato di Bambi (e perché Hitler ne era ossessionato)
- Universali29 Febbraio 2024Hedy Lamarr, la diva di Hollywood che “concepì” Wi-Fi e Bluetooth
- Europa28 Febbraio 2024La tregua di Natale del 1914, quando la guerra si fermò per una notte