Un’elezione politica senza cabine elettorali, senza voto segreto e, soprattutto, senza la maggior parte degli elettori. Un’elezione in cui contano di più i simboli cuciti sul cappotto, le promesse di favori personali e — perché no? — qualche generosa ‘bustarella’. Così si votava nella Gran Bretagna del XVIII secolo.
Non aspettatevi il trionfo della democrazia: qui il diritto di voto era un privilegio riservato a pochi, e la politica era un’arena in cui la corruzione non era uno scandalo, ma una prassi accettata. Eppure, con tutti i suoi limiti, il sistema elettorale britannico di questo periodo avrebbe gettato le basi per la democrazia parlamentare moderna.”*
Giorgio I e la nascita della Gran Bretagna unita
La storia delle elezioni britanniche del XVIII secolo non può essere raccontata senza considerare il contesto politico più ampio. Tutto comincia nel 1714, con la morte senza eredi diretti della regina Anna Stuart. A chi passò il trono? Non a uno Stuart cattolico, ma a un uomo che non parlava neanche inglese: Giorgio I di Hannover, un principe tedesco protestante.
Perché proprio lui? La risposta sta in una legge approvata anni prima, l’Act of Settlement del 1701, che escludeva dal trono tutti i pretendenti cattolici. Così, Giorgio I, pur essendo il parente più lontano immaginabile, fu preferito a qualunque candidato Stuart.
Giorgio I non fu mai amato dal popolo britannico. Parlava poco inglese e si circondava di ministri tedeschi. Ma nel 1715decise di fare qualcosa di mai visto negli altri regni d’Europa: indire elezioni parlamentari. Un gesto quasi rivoluzionario, se si pensa che la maggior parte delle monarchie europee dell’epoca governava senza consultare né parlamenti né elettori.
In Gran Bretagna, invece, le elezioni erano una realtà già consolidata. L’Act of Union del 1707 aveva unito formalmente Inghilterra e Scozia nel Regno Unito di Gran Bretagna, e il Septennial Act del 1716 stabilì che il parlamento poteva durare fino a sette anni (in precedenza le elezioni si tenevano ogni tre anni).
Chi votava e chi veniva eletto?
Se oggi parliamo di elezioni come un diritto universale, nel XVIII secolo la realtà era ben diversa. All’epoca, il voto era un privilegio riservato a pochi. Non solo le donne erano escluse, ma anche la gran parte degli uomini.
Il sistema elettorale distingueva tra:
- Deputati delle contee, eletti dai proprietari terrieri (solo chi possedeva terreni con una rendita annua di almeno 40 scellini in Inghilterra e 100 sterline in Scozia poteva votare).
- Deputati delle città e dei borghi (boroughs), eletti da membri delle corporazioni e da una ristretta cerchia di abitanti, che variava a seconda del borgo.
E qui arriva il primo grande paradosso: non c’era un collegamento tra la densità di popolazione e la rappresentanza politica. Vi spiego: i confini elettorali erano fermi al 1660, ma nel frattempo la popolazione si era spostata. Birmingham, Manchester e Liverpool, che nel XVIII secolo erano in piena esplosione industriale, non avevano rappresentanti in Parlamento. Viceversa, borghi ormai spopolati come Old Sarum (un villaggio abbandonato) o Dunwich (letteralmente affondato sotto il livello del mare) continuavano a inviare i loro deputati. Questi distretti fantasma venivano chiamati “rotten boroughs” (borghi putridi).
Campagne elettorali: Slogan, simboli e corruzione
Fare una campagna elettorale nel XVIII secolo era un’impresa costosa. Non bastava esporre manifesti o fare promesse generiche: servivano soldi, molti soldi. Chi intendeva candidarsi doveva essere ricco di suo, perché lo Stato non finanziava nulla e i partiti politici, per come li intendiamo oggi, non esistevano ancora.
I candidati dovevano mobilitare il proprio elettorato con l’aiuto di agenti locali, che giravano per i borghi a distribuire volantini, opuscoli e slogan. I whigs e i tories, i due grandi schieramenti, si riconoscevano anche dai loro simboli distintivi:
- Whigs: indossavano nastri arancioni o di lana.
- Tories: portavano foglie di quercia come segno di lealtà.
Ma, attenzione, la propaganda non era solo simboli e parole. Le bustarelle e i favori personali erano una componente fondamentale. Gli elettori venivano spesso “convinti” con denaro, cibo, bevande alcoliche o la promessa di un impiego. Chi riusciva a garantire vino e birra gratis per giorni interi poteva contare su un discreto vantaggio.
Un esempio interessante è quello di Sir Robert Walpole, capo del partito whig e considerato il primo vero primo ministro della storia britannica. Walpole era un maestro della retorica e della mobilitazione elettorale. Nel 1713, durante la campagna elettorale a King’s Lynn, pronunciò il celebre discorso:
“Lotteremo duramente per la nostra religione e la nostra libertà!”
Questa frase, ripresa su manifesti e locandine, è un perfetto esempio di slogan elettorale d’effetto.
L’election day
Il giorno delle elezioni non c’erano cabine segrete né urne elettorali. Il voto era pubblico e palese. Gli elettori si presentavano di persona e dichiaravano ad alta voce il loro voto davanti ai rappresentanti.
Le votazioni potevano durare giorni o addirittura settimane, durante le quali i candidati e i loro agenti cercavano di “convincere” gli elettori in ogni modo possibile. Se un elettore indeciso si presentava, veniva corteggiato come una star, con promesse, favori e – spesso – qualche “aiutino economico”.
Lo spoglio dei voti era lento e spesso irregolare. Non esistevano liste ufficiali centralizzate e, non appena si diffondevano i primi risultati parziali, le accuse di brogli fioccavano da entrambe le parti. Un esponente whig, nel 1705, informò un amico dei risultati elettorali in questo modo:
“Sono stati eletti 385 deputati, di cui 32 tories.”
Ma c’era chi usava proiezioni elettorali per anticipare i risultati. Un altro osservatore dell’epoca scrisse:
“Non sono ancora state stampate le liste dei deputati, ma pare che i whigs e i tories abbiano raggiunto la parità.”
La democrazia non nasce perfetta. Quella britannica del XVIII secolo era un sistema elitario, corrotto e pieno di paradossi. Ma, con tutti i suoi difetti, rappresentò il prototipo dei moderni sistemi parlamentari.
L’idea che i rappresentanti dovessero essere eletti, che il governo avesse bisogno di una maggioranza parlamentare per governare e che il popolo — per quanto ridotto — avesse voce in capitolo, era rivoluzionaria per l’epoca.
Molte cose cambiarono dopo il Reform Act del 1832, ma le basi della democrazia parlamentare erano state gettate. E pensare che tutto era cominciato con bustarelle e slogan urlati. Non proprio una rivoluzione romantica, ma decisamente efficace.
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