Come i nazisti si appropriarono del nudismo socialista per veicolare il mito della razza ariana

Passeggiare nei parchi pubblici di Berlino, Monaco o Francoforte può offrire una sorpresa inaspettata: persone completamente nude che prendono il sole a pochi passi dal caos cittadino. Quella che per un turista britannico o italiano potrebbe sembrare una “bizzarria tedesca” ha in realtà una storia molto più profonda, che affonda le sue radici nei movimenti di riforma sociale dell’Ottocento e attraversa uno dei periodi più bui della storia tedesca: il regime nazista.

Il rapporto tra la cultura del nudismo (FKK, Freikörperkultur, ovvero “cultura del corpo libero”) e il nazismo è una storia di appropriazione, censura e paradossi. Sebbene oggi il nudismo sia spesso associato all’idea di libertà individuale e armonia con la natura, nel contesto storico tedesco fu anche uno strumento di controllo ideologico, prima come espressione di riforma sociale e successivamente come parte dell’estetica della purezza ariana promossa dai nazisti.

Dalla riforma sociale al culto del corpo libero

Il nudismo in Germania emerse nel contesto della Riforma della Vita (Lebensreform), un movimento nato nella seconda metà del XIX secolo. Era un’epoca di grandi trasformazioni: la rapida industrializzazione aveva spinto milioni di persone dalle campagne alle città, costringendole a vivere in condizioni di sovraffollamento e insalubrità. Molti tedeschi cercarono vie di fuga dal caos urbano attraverso una “riforma della vita” che includeva diete vegetariane, astinenza da alcol e tabacco, ritorno alla natura e bagni di luce e aria (Lichtluftbäder), ovvero il nudismo all’aperto.

Il nudismo, in questo contesto, non era solo una forma di igiene fisica, ma anche una pratica spirituale. Karl Diefenbach, uno dei primi teorici del movimento, viveva con la sua famiglia in una cava abbandonata vicino a Monaco, dove trascorreva le giornate nudo o avvolto in un semplice mantello di capelli durante l’inverno. Per Diefenbach, il corpo nudo rappresentava la bellezza ideale raggiunta nell’antica Grecia, un’armonia perduta che l’Europa moderna doveva recuperare.

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Diefenbach ispirò molti altri, tra cui Hugo Höppener, meglio noto come Fidus, artista e teorico che combinò il nudismo con una visione mitizzata del passato germanico. Fidus attingeva alle descrizioni di Tacito sui “germani nudi” che affrontavano i legionari romani in battaglia. Le sue celebri incisioni raffiguravano corpi nordici idealizzati, giovani e forti, che incarnavano la purezza razziale.

“Il nudo germanico è il simbolo del ritorno alla purezza originaria”, dichiarava Fidus nei suoi scritti. Ma questa estetica cominciò a prendere una piega inquietante. Mentre inizialmente il nudismo rappresentava una ribellione alla società borghese, negli anni successivi iniziò a mescolarsi con teorie razziste e nazionaliste che avrebbero trovato terreno fertile con l’ascesa del nazismo.

L’epoca d’oro del nudismo socialista

Accanto a questi movimenti borghesi, un’altra forma di nudismo si sviluppò su basi socialiste. La figura chiave di questa corrente fu Adolf Koch, insegnante in una scuola elementare di Berlino. Koch era convinto che la salute fisica e mentale dei giovani operai berlinesi, provati dalle pessime condizioni di vita, potesse essere migliorata con il nudismo. Nel 1924, fondò la sua Scuola di Pedagogia della Salute e della Cultura del Corpo, dove uomini e donne, ragazzi e ragazze, praticavano ginnastica nudi, discutevano di politica e ricevevano educazione sessuale, un elemento assolutamente rivoluzionario per l’epoca.

Le scuole di Koch ebbero un enorme successo. A differenza dei club nudisti borghesi, le sue scuole erano accessibili a tutti, anche ai disabili, ai poveri e ai disoccupati. Nel 1933, il numero degli iscritti alle scuole Koch superava di gran lunga quello dei membri dei club nudisti borghesi: su circa 80.000 nudisti praticanti in Germania, ben 60.000 erano associati a gruppi di orientamento socialista.

Tuttavia, il successo di Koch ebbe conseguenze. Una domestica cattolica spiò una lezione attraverso il buco della serratura e raccontò ciò che aveva visto al suo parroco. La notizia finì sui giornali e scoppiò lo scandalo. Ma Koch non si arrese e, anzi, radicalizzò le sue posizioni, accusando la Chiesa cattolica e la borghesia di voler impedire l’autodeterminazione del proletariato.

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Il paradosso nazista: dalla messa al bando all’appropriazione

Quando i nazisti presero il potere nel 1933, una delle loro prime mosse fu proprio quella di vietare il nudismo. Hermann Göring dichiarò che la cultura del nudo “uccide il rispetto degli uomini per le donne”. Squadre della Gioventù Hitleriana furono inviate a distruggere le sedi dei club nudisti e i circoli di Koch furono chiusi.

Ma la politica nazista verso il nudismo fu più ambigua di quanto sembri. Dopo l’iniziale repressione, il regime cambiò rotta. L’SS-Major Hans Surén, responsabile dell’addestramento fisico dell’esercito tedesco, pubblicò il libro “L’Uomo e il Sole” (1924), in cui celebrava le virtù della nudità come espressione della “forza olimpica ariana”. Con l’aggiunta di elementi razzisti, il libro fu rieditato con il titolo “L’Uomo e il Sole: Lo Spirito Olimpico Ario”, e divenne popolare tra i gerarchi nazisti, incluso Heinrich Himmler, che nel 1942 legalizzò ufficialmente il nudismo.

Da oppositori del nudismo a suoi promotori, i nazisti si appropriarono della cultura del corpo libero per i propri scopi ideologici. L’estetica del corpo forte e puro divenne una metafora della “razza ariana”, mentre il nudo non era più visto come simbolo di liberazione, ma come strumento di disciplina razziale e controllo sociale.

Dopo il 1945: tra denazificazione e nuova libertà

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, il nudismo non scomparve. Anzi, la legge di Himmler del 1942, che autorizzava il nudismo pubblico, rimase in vigore sia nella Germania Est che in quella Ovest. Nella DDR (Germania dell’Est), il nudismo divenne parte del sogno socialista di uguaglianza, mentre nella Germania Ovest fu ripreso dai movimenti di controcultura degli anni ’60.

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Adolf Koch tornò alla ribalta e cercò di riformare il nudismo in chiave liberale, ma fu boicottato dalle associazioni nudiste tedesche. Le sue idee sulla centralità dell’educazione sessuale e il suo passato socialista non si adattavano al nuovo clima. Negli anni ’60, fu espulso dall’Associazione Tedesca per la Cultura del Corpo Libero.

Oggi, la Germania è uno dei pochi paesi al mondo in cui la nudità pubblica è socialmente accettata e legalmente permessa. Quella che sembra una pratica di libertà individuale porta con sé l’eredità di due secoli di storia: la ribellione del movimento di riforma, le idee socialiste di Adolf Koch e l’estetica ariana del regime nazista.

In un paradosso storico, le stesse leggi che un tempo dovevano disciplinare i corpi oggi garantiscono la loro libertà. E mentre i visitatori internazionali si meravigliano di trovare nudisti nei parchi pubblici, pochi si rendono conto che quella nudità è il frutto di un intreccio di libertà, repressione e appropriazione politica.


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