Usare l’AI per ridare un’identità a 10 milioni di schiavi afroamericani

Per secoli, i nomi e le storie di milioni di uomini, donne e bambini ridotti in schiavitù in America sono stati cancellati dalla storia, relegati a semplici numeri o “proprietà” nei registri dei loro padroni. Oggi, l’ambizioso progetto “10 Million Names Project” sta cercando di identificare e restituire un’identità a circa 10 milioni di uomini, donne e bambini schiavizzati tra il 1500 e il 1865 negli Stati Uniti e in altri territori coloniali. Avvalendosi di una combinazione innovativa di intelligenza artificiale (IA)analisi di fonti storiche e testimonianze orali, il progetto mira a fornire risposte ai discendenti afroamericani, contribuendo a una più ampia riflessione sulle radici della disuguaglianza e sulla necessità di una giustizia storica.

La cifra dei 10 milioni si basa su una stima storica del numero di africani deportati e ridotti in schiavitù nel continente americano. A differenza delle persone libere, gli schiavi non venivano inclusi nei censimenti ufficiali con il proprio nome, ma erano elencati come “proprietà” dei padroni, accompagnati solo da informazioni di base come l’età, il sesso e il valore economico.

Il Censimento del 1870 rappresentò il primo tentativo di registrare nominalmente gli afroamericani appena liberati dalla schiavitù. Tuttavia, per le persone schiavizzate prima di questa data, la documentazione è sparsa in fonti secondarie e private:

  • Registri di vendita degli schiavi.
  • Inventari di piantagioni.
  • Testamenti e atti notarili.
  • Documenti ecclesiastici.
  • Bibbie familiari di schiavisti.

Il progetto cerca di raccogliere queste fonti e centralizzare le informazioni in un’unica piattaforma accessibile al pubblico.

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Origini del progetto

L’idea del “10 Million Names Project” nasce da un’iniziativa precedente: il Georgetown Memory Project, avviato nel 2015 da Richard Cellini, docente ad Harvard e avvocato. La scoperta delle radici dell’iniziativa risale al 1838, quando la Georgetown University vendette 272 schiavi africani per coprire i propri debiti. Questa rivelazione spinse Cellini a porre una domanda fondamentale:

“Che fine hanno fatto quelle persone e i loro discendenti?”

Non soddisfatto dalle risposte ricevute dai responsabili del progetto dell’Università di Georgetown, Cellini decise di finanziare in modo autonomo il Georgetown Memory Project, riuscendo a identificare 236 delle 272 persone vendute e a rintracciare oltre 10.000 discendenti diretti.

Questa esperienza ha dimostrato il potenziale di una ricerca mirata e ha ispirato la nascita del più ampio “10 Million Names Project”, un’iniziativa che si propone di ricostruire l’identità non solo delle 272 persone legate a Georgetown, ma di tutti gli schiavi che hanno vissuto negli Stati Uniti. Oggi, il progetto è sostenuto da organizzazioni prestigiose come la New England Historical Genealogical Society e piattaforme di genealogia come American Ancestors.

L’uso dell’intelligenza artificiale e delle tecnologie avanzate

Un aspetto fondamentale del “10 Million Names Project” è l’utilizzo delle tecnologie digitali avanzate, in particolare i sistemi di intelligenza artificiale (IA) e il riconoscimento ottico dei caratteri (OCR). Tradizionalmente, la ricerca genealogica richiedeva la trascrizione manuale di documenti manoscritti, con processi lenti e laboriosi.

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Grazie all’OCR e ai modelli di apprendimento automatico (machine learning), è ora possibile:

  • Digitalizzare e analizzare rapidamente documenti storici (registri di vendita, atti notarili, lettere private, ecc.).
  • Estrarre automaticamente nomi e dati da fonti scritte a mano.
  • Trovare corrispondenze tra i nomi presenti in fonti diverse, collegando gli individui agli eventi storici.

Questi strumenti sono utilizzati anche su piattaforme come Enslaved.org, un portale che raccoglie informazioni su oltre 600.000 schiavi e 5 milioni di eventi storici associati alla schiavitù. La collaborazione con questo progetto e con il database del Library of Congress (Born in Slavery: Federal Writers’ Project) consente ai ricercatori di accedere a un’enorme quantità di dati e di collegare in modo automatico informazioni provenienti da diverse fonti.

Oltre all’analisi documentale, il progetto raccoglie testimonianze orali da discendenti di schiavi e da famiglie di ex-schiavisti. Le testimonianze, a lungo trasmesse in forma orale, rappresentano un’importante fonte storica, in particolare per le storie familiari afroamericane.

Kendra Taira Field, storica di Tufts University e capo del progetto, ha sottolineato l’importanza di queste narrazioni. Lei stessa ha riscoperto parte della propria storia familiare attraverso i racconti tramandati da sua nonna, Odevia Brown. Le testimonianze orali si intrecciano con le interviste del Federal Writers’ Project (1936-1938), che raccolsero le voci di oltre 2.300 ex-schiavi in 17 stati.

Obiettivi di giustizia storica e memoria collettiva

Il recupero dell’identità degli schiavi è una questione genealogica, ma anche un atto di giustizia storica riparativa. Per secoli, la narrazione dominante della storia americana ha relegato le persone schiavizzate a “oggetti di proprietà” o semplici numeri in registri contabili. Il progetto “10 Million Names” ribalta questa prospettiva, dimostrando che ogni schiavo era una persona con un nome, una famiglia e una storia.

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Richard Cellini ha affermato che, storicamente, la conoscenza della propria genealogia era riservata ai bianchi, mentre gli afroamericani subivano un’oppressione epistemica. Ma oggi, grazie ai nuovi strumenti digitali, la storia diventa accessibile a tutti.

“I fatti sono ostinati”, ha dichiarato Cellini, citando John Adams. “La verità non può essere negata. Se cerchiamo, troviamo. E quando troviamo, il mondo intero cambia.”


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