Perdere un anno (e un dito) per la propria dignità
La mia cella era alta un metro e larga un metro. Era tutto chiuso, un buco di cemento. Non sapevo se fosse giorno o notte. Il posto era sporchissimo e puzzava. A causa di queste condizioni sentivo le mie ferite bruciare. Sentivo nelle vicinanze i latrati di un cane, sembrava triste. Non potevo né vederlo né toccarlo ma, in qualche modo, i suoi lamenti erano la mia unica compagnia. Una volta al giorno mi davano una scodella di zuppa di fave e un bicchiere d'acqua. Preferisco non presentarmi con nome e cognome. In realtà non importa neanche la mia nazionalità…