Una casa per i profughi afgani, cacciati dal binario 15

 

di Francesco Caselli

Sono le 18 di un tiepido 27 febbraio. Percorro via Benzoni, zona Ostiense a Roma, e mi volto per guardare l’Air Terminal, ora in ristrutturazione. Dicono che diventerà un mega punto ristoro dove i passeggeri dell’Alta Velocità di Montezemolo potranno degustare la vera cucina italiana, quella Doc per intenderci. Questa sera c’è qualcosa di diverso. Macchine della polizia e dell’Italpol ovunque. Sì perché all’ombra delle impalcature, su quel binario della stazione vivevano da anni un centinaio di profughi afgani. Negli ultimi 7 mesi ne sono passati più di 700. Dico vivevano perché da ieri non ci sono più. Sgomberati. Chissà dove.

La mattina del giorno dopo, decido di andare sul posto e chiedere informazioni. Quello che trovo è una desolazione calma e un lungo reticolato intorno al marciapiede, insieme a secchi dell’immondizia e ciò che rimane della tendopoli.

Al centro del piazzale c’è soltanto una macchina dell’Italpol con un operatore che non sa darmi spiegazioni sulla destinazione dei profughi. Intanto sta per arrivare una camionetta della nettezza urbana, fra poco lì non rimarrà più nulla. Mentre cerco con lo sguardo qualcuno a cui chiedere che fine abbiano fatto le 100 persone della tendopoli, i miei occhi cadono su un cartello, o meglio, un foglio A4 attaccato con lo scotch al reticolato, sul quale è scritto in rosso “Centro accoglienza in via Odescalchi, 67”.

Prendo al volo l’autobus per andare nel centro e verificare la reale condizione dei profughi. Arrivato in via Odescalchi cerco il civico 67. Entro. Tutto sembra abbandonato a se stesso. Sulla mia sinistra si erge un palazzone marrone, vecchio, inospitale. Mi chiedo se gli afgani siano lì dentro. Poi mi volto a destra e in un campo, separata da un muretto e un cancello arrugginito sorge una tenda bianca, chiusa, riparata.

Mi avvicino e vedo due uomini che fumano e spazzano. Sono italiani. Appena chiedo informazioni mi fanno cenno di domandare a “lui”. Con la coda dell’occhio vedo arrivare un uomo. Questo “lui” non è italiano. Sorridente mi stringe la mano. Si chiama Sami. Mi spiega che dentro la tenda da una settimana sono stati ospitati centinaia di afgani, gli ultimi sono arrivati ieri sera. Ora qui hanno da mangiare, usufruiscono di bagni più puliti e dei letti dove dormire. Purtroppo l’interno della tenda è buio e non posso scattare foto, ma le cuccette sono ordinate e tenute con cura.

Sami mi dice che la struttura non è una meta definitiva per gli afgani, ma che da qui vengono poi spostati nei diversi centri sparsi nella città. Mi spiega anche che gli orari di visita sono dalle 19 alle 9 di mattina. Il resto del giorno i ragazzi sono fuori, chi a fare il muratore, chi a tagliare i capelli ai suoi connazionali, chi invece a fare la fila dall’avvocato per ottenere uno straccio di permesso di qualche tempo per vivere in Italia. Finalmente i 100 profughi del binario 15 a Ostiense non vivono più per strada, per loro, dopo anni, è arrivata una casa, seppur temporanea.


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