Il rogo del campo nomadi di Roma, in cui hanno perso la vita quattro bambini, ha messo in evidenza per l’ennesima volta le precarie condizioni dei rom relegati nelle estreme periferie delle nostre città. A tal proposito Frontierenews.it ha Luca Cefisi, membro della presidenza del Partito Socialista Europeo e da anni in prima linea sull’integrazione attraverso progetti di accoglienza per rifugiati, missioni umanitarie e iniziative contro la discriminazione dei rom .
Cos’è la discriminazione nel 2011?
È l’idea che le risorse delle società – economiche e morali (diritti, libertà) – possano essere negate ai “diversi”, intesi di solito come “non meritevoli”. Per questo la discriminazione oggi si fa forte del cosiddetto “discorso securitario”: i diversi devono essere rappresentati come pericolosi per la pubblica sicurezza.
Il popolo Rom è maggiormente ghettizzato per la circoscrizione geografica nelle città?
Con la scusa di isolare i “diversi”, pericolosi per la sicurezza, i campi nomadi sono dei veri e propri ghetti; perpetuano isolamento e segregazione ad alti costi economici per le amministrazioni cittadine. Inoltre la sicurezza sarebbe meglio garantita da politiche di prevenzione, educazione e pari opportunità che dal semplice rinchiudere intere famiglie in un campo sorvegliato all’estrema periferia, con le conseguenti difficoltà in termini di relazioni sociali, accesso alle scuole e al lavoro.
In che condizioni vivono i bambini? Come mai vengono spesso educati alla microcriminalità e non gli viene data la possibilità di integrarsi? È dovuto solo dalla situazione economica?
C’è un problema economico e uno culturale. Esiste senza dubbio un problema con la cultura tradizionale rom, espressa in parte dai rom immigrati dai Balcani: una cultura che prevede che i minori sin da piccoli contribuiscano in qualche modo al sostentamento familiare. Si tratta di una cultura con forti elementi arcaici, patriarcali e maschilisti. Occorre scommettere sull’educazione e la comunicazione e rompere l’isolamento. Sono l’isolamento e la mancanza di normali rapporti culturali con la società italiana ad alimentare la separazione e mantenere in vita rapporti familiari e sociali arcaici.
È possibile eliminare il senso di emarginazione esistente oggi e chi dovrebbe agire?
In primo luogo, devono agire i rom e sinti italiani, che devono darsi forme associative di rappresentanza. Sono oggi in via di formazione associazioni dei rom e sinti: la minoranza più silenziosa dovrebbe finalmente darsi una voce nel dibattito pubblico, perché sinora tutti parlano dei rom, meno che i rom stessi. Da parte delle amministrazioni cittadine, dovrebbero finire le fallimentari politiche separate per i “nomadi”: se sono cittadini italiani, da italiani devono essere trattati; se stranieri, vanno attivate le politiche di integrazione per gli immigrati. In ogni caso, non è accettabile che gli zingari siano rinchiusi in una sorta di limbo, separati da tutti.
La ghettizzazione di cui lei parla nel suo libro (Bambini ladri. Tutta la verità sulla vita dei piccoli rom, tra degrado e indifferenza, ndr) non potrebbe anche essere la conseguenza della mentalità dei rom, spesso incapace di adattarsi al nostro ordinamento giuridico?
Diciamo subito che i rom che vivono in Italia sono prevalentemente cittadini italiani e vivono in maniera del tutto normale, in dignità e legalità. Esistono, come dicevamo, residui di una cultura arcaica. Ma non si può liquidare questo con un banale giudizio sulla mancata volontà di integrazione dei rom: questa mancanza di volontà di integrazione, se c’è, è alimentata dal rifiuto della società italiana, dalla segregazione e dal razzismo. Il dialogo crea integrazione, il rifiuto crea separazione, è abbastanza banale a dirsi ma la verità è spesso semplice a descriversi.
Da cosa è data l’indifferenza italiana nei confronti dei più deboli?
Stiamo assistendo in questi anni al ritorno di antiche ideologie ottocentesche, che dividono tra poveri “virtuosi” e “viziosi”. I rom vengono arruolati nelle schiere dei “viziosi” ovviamente, cioè dei poveri per loro stessa colpa, perchè non mostrano virtù di disciplina e sottomissione. Il rifiuto di attivare politiche sociali e di integrazione diventa quindi una sorta di punizione, non si investono risorse per i rom perchè non le meritano. Questo è il livello del dibattito pubblico oggi, specialmente in alcune città, a cominciare da Milano. In questo modo i problemi non li risolveremo mai ma emarginazione e illegalità si perpetueranno all’infinito.
Quella italiana è una politica di discriminazioni e xenofobia o è piuttosto politica di comodo, che preferisce non far nulla?
Negli ultimi vent’anni, con l’ipocrisia del presunto “nomadismo”, si è fatto finta che i rom nelle nostre città fossero dei fantasmi. E sì, si è fatto poco o nulla.
Ci racconti dei suoi progetti di accoglienza.
Nel mio libro ho raccontato anche le cose buone che stanno accadendo in Italia: il lavoro che a tanti livelli viene compiuto per l’integrazione, contro la discriminazione. Una situazione di grande urgenza è quella dei discendenti degli sfollati dell’ex-Jugoslavia, i cui nonni e genitori ricevettero un’accoglienza umanitaria nel nostro Paese. Secondo dati dello stesso Ministero dell’Interno del 2008, c’è una fascia di almeno 20/25.000 giovani rom soprattutto della ex Jugoslavia che non hanno cittadinanza: non sono stati riconosciuti nei paesi di origine, parlano solo italiano e romanes e sono senza documenti. È evidente che non si possono rimpatriare, ed è assurdo che continuino a vivere in un limbo. Occorre lavorare perchè ciascuno di essi riceva uno status legale e possa in futuro diventare un cittadino come gli altri. Su questo tema, che alcuni anni fa era stato posto all’attenzione dallo stesso governo italiano, e specialmente dall’allora ministro dell’Interno Amato, stano lentamente avviandosi alcune iniziative nelle maggiori città.
L’integrazione potrebbe essere favorita con programmi che permettano ai più giovani di studiare, creando un modello per gli altri rom. È utopia?
Nessuna utopia: la scuola è già oggi la normalità per la maggior parte dei giovani rom. Il problema è che dopo la scuola, o la formazione professionale, il lavoro non arriva: i rom condividono spesso la delusione con italiani e immigrati di ogni origine.
Esiste la possibilità di un’integrazione vera e responsabile?
Dipende solo da quante risorse e da quanta intelligenza e volontà vogliamo investire.
Martina Strazzeri
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sono una sinta abito in veneto. non e per niente facile non vivere ma sopravivere non ci date la possibilita di vivere prche mi chiedo .vivo onestamente ma mi devo trovare un lavoro quasi ogni due tre mesi ,se va bene perche quando vengono a sapere chi sono dopo due giorni sono a casa,e un calvario tirare su dei ragazzi .ma voi malgrado noi si viva onestamente non ci volete .COME DOBBIAMO VIVERE DITELO ho:forse sarebbe meglio come ha fatto i tedeschi nel 45 .ABBIAMO IL DIRITTO DI VIVERE siamo persone carne umana.. ma sembra che amiate di piu gli animali di noi
quasi quasi m’informo su quanti furti sono ad opera di Sinti o Rom, Italiani, Tedeschi, parlamentari, eccetera, poi quanti sono di ogni gruppo appartenente e faccio una percentuale, ovviamente quelli che risultano onesti sono onesti e vale per tutti, però sicuramente la percentuale maggiore di delinquenti non sono i Tedeschi, così a spanne
La settimana scorsa in un paesino di 100 persone una banda di 8 Sinti giostrai è andata a fare una rapina in una gioielleria dove il titolare è su una sedia a rotelle e la polizia li ha intercettati, all’ALT della polizia uno di questi personaggi ha estratto l’arma e ha sparato ma a sua volta è stato colpito e ucciso. Le domande che mi faccio sono molte, tra le quali una è se era giostraio aveva un lavoro ma perchè andare a rubare armato? Si stava integrando ma non troppo?
hai fatto uno studio su quanti rapinatori a mano armata hanno anche un lavoro nella loro vita “di facciata”? e sul totale dei rapinatori a mano armata quanti sono Rom? Ecco, quando avremo questi dati, forse possiamo discutere..8 delinquenti non possono definire un popolo…