Sono passati oltre 180 anni dalla sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti sul caso Amistad: gli africani che presero il controllo della nave Amistad, una goletta negriera di proprietà della Spagna, erano stati ridotti in schiavitù illegalmente.
Nel 1839, oltre 40 africani, rapiti dalla Sierra Leone e venduti nel mercato degli schiavi di Cuba, presero il controllo della goletta spagnola Amistad. La loro azione disperata era guidata da Sengbe Pieh, conosciuto anche come Joseph Cinqué. Questi uomini e donne cercavano di ritrovare la libertà, di ritornare alle loro case, alle loro famiglie, alle loro vite interrotte brutalmente.
Il tentativo di navigare verso l’Africa, però, li portò sulle coste degli Stati Uniti, dove furono catturati e imprigionati. Ciò che seguì fu una serie di processi che catalizzarono l’attenzione pubblica e sollevarono questioni profonde riguardo alla legalità della schiavitù, ai diritti umani e alla sovranità delle nazioni.
Il processo alla Corte Suprema, che vide l’ex Presidente John Quincy Adams difendere gli africani dell’Amistad, fu un momento di svolta. Adams, con una passione e un’eloquenza straordinarie, sostenne che gli imputati avevano agito in difesa della loro libertà fondamentale, sottolineando l’illecito della loro cattura e trasporto come schiavi.
La vittoria legale dell’Amistad non fu solo una liberazione per gli africani coinvolti ma lanciò un messaggio potente contro l’ingiustizia della schiavitù. Questo episodio contribuì ad alimentare il movimento abolizionista negli Stati Uniti e a sensibilizzare l’opinione pubblica sui diritti umani.
Nel 1997 Steven Spielberg ha girato un film ispirato all’ammutinamento, divenuto simbolo dell’abolizione della schiavitù. In Amistad, un magistrale Anthony Hopkins interpreta l’abolizionista John Adams, venendo nominato per l’oscar ma mancando il premio. Nonostante alcune critiche sulla fedeltà storica, la pellicola ha avuto il merito di rievocare l’importanza di questo evento e di promuovere un dibattito sull’eredità della schiavitù.
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