Terzo appuntamento con Il racconto del giovedì. Oggi leggeremo Occhiacci di legno, perché mi guardate? di Tahar Lamri.
I banchi azzurri mi guardano. Mi gettano certe occhiate. Io conosco soltanto i banchi color legno, del mio paese, pieni di scritte che non bastavano mai a contenerci tutti. Eravamo in cinquanta, potevamo giocare a spintoni. Qui siamo dodici, tutti in fila ordinati. Chissà se un giorno potrò avere un amico con cui giocare. Sono così pochi i bambini qui. Questi banchi sono azzurri e non ci si può scrivere sopra. Sono lisci. Come tutto qui. Anche la faccia della maestra è liscia, sembra che il tempo non lascia segni né sui banchi né sulle facce. Sarà vero? Mah.
Non si vedono i muri di questa classe, ci sono foto, scritte, disegni, bambole e tante altre diavolerie che non si sa qual è il colore dei muri. Ci sono tante finestre, ma poca luce. Non si sentono gli uccelli cantare. Ogni tanto passa un treno e tutto trema.
Mio padre ieri ha detto “Cerca di essere bravo, qui si devono fare tanti sacrifici”. All’inizio non ho capito bene cosa intendeva dire, credevo che bisognava sacrificare tanti montoni, come quando c’è la festa dell’Aid, per poter andare a scuola. Poi ho capito che in un paese ricco, non si può vivere da poveri. Chissà se devo fare anch’io dei “sacrifici”.
Oggi la maestra mi ha detto: “Quando parli alle persone li devi guardare negli occhi” ma a me la nonna ha sempre insegnato di non guardare le persone in faccia: “solo gli animali si guardano negli occhi” mi diceva. Per aiutarmi a guardare le persone negli occhi, da una settimana si siede a fianco a me Ahmed, anche lui è del mio paese. Quando si è presentato e ha parlato con me nella mia lingua mi è sembrato così strano quel suono che quasi quasi non capivo cosa mi diceva. Mi ha detto “non ti preoccupare imparerai in fretta l’italiano” ma quando l’ho sentito parlare questa lingua mi sono preoccupato subito, perché io la lingua la conosco nella mia testa e ho capito subito che lui la parla malissimo. Chissà perché non mi mettono vicino un italiano così imparo da lui. Comunque devo impararla in fretta perché la mamma ha bisogno quando deve andare a fare acquisti. Io l’italiano lo so benissimo. Nella mia testa.
Tahar Lamri nasce ad Algeri nel 1958. In Libia dall’79 all’84, conclude gli studi in Legge iniziati in Algeria, con la specializzazione in Rapporti internazionali e lavora come traduttore presso il consolato di Francia a Bengasi, si sposta dunque in Francia. In Italia dal 1986, vive a Ravenna. È direttore artistico del Festival delle culture.
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