Parigi, Porte de la Villette: immigrati truffati dal governo e aiutati dai rom

di Giacomo Lombardi

I riflettori mediatici sull’esilio tunisino in Europa si sono spenti. Come se i migranti tunisini non esistessero più e avessero smesso di soffrire. Non è così, ovviamente. A Parigi, loro meta prediletta, li si può trovare a Porte de la Villette, un piccolo parco al confine estremo del comune cittadino. È questo l’ultimo approdo dell’esodo iniziato l’inverno scorso in seguito alla rivoluzione che ha posto fine al governo di Ben Ali. Migliaia di giovani, per la prima volta liberi di scavalcare le strette frontiere della Tunisia, sono fuggiti verso l’Europa dei sogni: la terra del riscatto, della democrazia, ricca di lavoro. Un’Europa che è un sogno anche per noi, un sogno che si infrange in Italia come altrove. Come, appunto, a Porte de la Villette.

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Rue Deaudeville, uffici di France Terre d’Asile. “Lo Stato non offre alcuna assistenza, nemmeno vuole discutere con le associazioni umanitarie” dichiara amaramente Mohammed Majidi, un responsabile dell’associazione. “Il comune di Parigi ci dà un certo sostegno economico grazie al quale riusciamo a garantire un tetto per 160 tunisini nel nostro Foyer e ad alloggiarne 120 in hotel. Il comune ci aiuta, per quanto può, ma il problema non è di competenza municipale”. Majidi resta in silenzio qualche secondo guardando per terra. Quando risolleva lo sguardo ha il tono di voce di chi si è stufato della formalità. “Senta, la vuole sapere la verità? Al governo centrale non frega niente degli immigrati. L’unica risposta è la repressione poliziesca. Insistere sull’immigrazione serve solo a mascherare i problemi veri dei francesi. Dai, non sono 600 tunisini il problema di Parigi! Anzi, le dirò di più: tra tutte le miserie di questa vicenda c’è anche una truffa in corso”. Si spieghi meglio. “Lo Stato offre duemila euro ad ogni immigrato che chiede un rientro volontario in Tunisia. Bene, in tantissimi hanno fatto domanda, ma dopo essere venuti a capo di tutta la burocrazia scopriamo che i duemila euro sono diventati trecento”. C’è un motivo? “No, nessun motivo e nessuna giustificazione. Si è voluto invogliare i tunisini a togliere il disturbo e poi li si è presi in giro una volta fatta la domanda. Vada, vada a Porte de la Villette e capirà perché tutti se ne vogliono andare”. Insomma, una piccola truffa per la quale lo Stato non ha nulla da temere. È forse possibile che un immigrato clandestino faccia causa alla pubblica amministrazione?

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Il mondo è piccolo. A Porte de la Villette si ritrovano alcuni volti noti, visti nei reportage precedenti a Genova, a Ventimiglia, a Nizza. Ad ogni nuova tappa del loro viaggio l’identica risata amara: “Chef, sempre la stessa vita, hai visto?”. Anzi peggio: avendo esperienza di entrambe, occorre ammettere che l’accoglienza italiana in confronto a quella francese è dotata di un briciolo di umanità, per lo meno a tratti. Il che dovrebbe far capire come sono le condizioni di vita per queste persone in Francia, dove non esiste nemmeno un centro di accoglienza.

Sono i migranti stessi a dirlo. “Italiani très bien, qua!” irrompe un tunisino in un franco-italiano di fortuna, toccandosi il cuore. La mano scende verso lo stomaco: “Oggi non abbiamo mangiato niente, dobbiamo aspettare domani”. Perché? “Ah, ma perché oggi è giovedì!”. Spiegano che al di là della strada c’è un piccolo centro dove viene distribuito qualche pranzo, tranne il giovedì. Giornata di vacanza settimanale, come se anche la fame andasse in ferie. Fortunatamente tamponano le mancanze associazioni come Une Chorba pour tous a cena, a colazione il Secours Catholique, Secours Islamique e Saint Paul. Sono reti di solidarietà che operano finché hanno abbastanza fondi, notoriamente scarsi.

Senza queste associazioni l’accoglienza ufficiale consisterebbe in un pasto al giorno (e non tutti i giorni) e nella concessione di Porte de la Villette, uno spazio degradato e ben lontano dalla Parigi per bene, dove si dorme all’aria aperta, en plein air. “Lo Stato non ha fatto il minimo sforzo per mettere anche solo qualche tenda. Quando piove, di notte, andiamo sotto il cavalcavia e restiamo svegli. Come si fa a dormire così?” dice Salah. Da qualche giorno i tunisini hanno preso un po’ di coraggio e si sono costruiti delle piccole capanne con rottami e teloni trovati chissà dove. Non proprio impermeabili, ma è già qualcosa.

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La solidarietà che la Francia non dà, arriva inaspettatamente dai paria dell’Occidente: i rom, che in confronto ai tunisini di Porte de la Villette sono quasi dei benestanti perché almeno hanno una tenda e mangiano tutti i giorni. È sempre Salah a raccontare: “Spesso c’è una donna rom che va a comprare apposta per noi la carne halal. Siamo diventati amici. Fanno il barbecue laggiù in quel giardino. Brava gente i rom”. Il “barbecue” non è poi altro che una griglia incrostata e il “giardino” un’aiuola squallida, lo spazio morto tra la massicciata della ferrovia e due stradoni di periferia. Eppure per i migranti è un’insperata generosità.

Dopo mesi, la fine di questa storia non è ancora arrivata, se non attraverso la truffa dei duemila euro del rimpatrio. Il silenzio dei media ufficiali, naturalmente attratti da ciò che fa “notizia”, di certo non aiuta ad accelerare i tempi di una soluzione né a diffondere nell’opinione pubblica il convincimento che occorra un aiuto umanitario degno di questo nome. Forse quella donna rom di Porte de la Villette dovrà comprare halal ancora a lungo.


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