Testo di Valentina Pomatto, immagini di Sarah Fragiacomo
Raggiungevo il Senegal a marzo, quando nel mondo arabo scoppiavano le rivolte. Algeria, Tunisia, Egitto, Libia: focolai di ribellione in Medio Oriente e in Nord Africa alimentavano le speranze, e i timori, di una “primavera araba”. In questi mesi i regimi hanno vacillato e un’aria di cambiamento si è estesa nel bacino del Mediterraneo e oltre, fino alla Siria e allo Yemen, tra gli stati più conservatori e autoritari del vicino Oriente.
D’improvviso è sembrato che i media, i cittadini e l’opinione pubblica in generale siano tornati a considerare il potere della piazza, la forza della società civile e la capacità della gente di essere motore di cambiamento. E mentre è in corso la primavera araba, che non risparmia sangue e repressione, un’altra primavera politica -di piazza- si apre sull’altra sponda del Mediterraneo. A maggio, poco prima delle elezioni amministrative, i ragazzi spagnoli “toman la calle” occupano la Puerta del Sol, cuore di Madrid, le piazze Barcellona e di altre città.
In Senegal, intanto, nasce il movimento “Y en a marre” (traducibile con un “Non se ne può più”). E’ gennaio 2011 e nella banlieu di Dakar dei giovani, tra cui i rapper del gruppo “Keur Guei”, si trovano a confrontarsi sul malessere generale del Paese e decidono di prendere l’iniziativa. Questi giovani danno vita al movimento “Y en a marre”, che mostra tutta la frustrazione dei cittadini, delusi dal governo Wade, schiacciati dal costo della vita sempre più elevato, disorientati per la mancanza di prospettive. Non a caso, tutto parte dalla periferia della capitale senegalese, che concentra i disagi del Paese: frequenti tagli all’elettricità, disoccupazione, inondazioni nella stagione delle piogge, pessima gestione dei rifiuti, microcriminalità in crescita.
Il movimento si fa conoscere e raccoglie consensi durante il Forum Sociale Mondiale, che si tiene a Dakar a febbraio. E’ poi a Rufisque, città alla periferia della capitale e roccaforte dell’opposizione, che “Y en a marre” fa partire la sua campagna di sensibilizzazione.
Raccogliendo consensi e facendosi portavoce dell’indignazione senegalese, il movimento organizza una manifestazione il 19 marzo. La scelta della data non è casuale: si tratta dell’anniversario della vittoria del “Sopi” (“cambiamento”in lingua wolof) nel 2000, quando si mise fine al periodo socialista e Wade salì al potere per il suo primo mandato.
La manifestazione di “Y en a marre” del 19 marzo riunisce tra le 10.000 e le 15.000 persone solo a Dakar; un duro colpo per i partiti tradizionali, di governo e d’opposizione, che avevano organizzato nella stessa data le loro rispettive manifestazioni.
Il movimento lancia quindi la seconda fase del suo piano d’azione “Daas Fanaal” (“premunirsi” in wolof), una campagna che parte da Kaolack, nel centro del Paese, il 15 aprile e si propone come obiettivo quello di incitare la popolazione a iscriversi alle liste elettorali.
L’hip-hop, affiancato dai gruppi civici, si mobilita per informare la gente, sensibilizzarla e interessarla alla cosa pubblica: il cambiamento politico passa inevitabilmente dall’esercizio del diritto di voto ed è quindi necessario che il più grande numero di persone possibile richieda la tessera elettorale. Carovane e concerti vengono organizzati in varie città del Senegal, mentre sui muri della banlieu di Dakar compare ripetutamente la scritta “Y en a marre”.
Il malessere è dilagante: i continui tagli di elettricità e il rialzo delle materie prime ostacolano le attività produttive. Le categorie professionali più colpite, tra cui i sarti, organizzano altre manifestazioni di protesta.
Lo sdegno deriva anche dalla discutibile gestione dei fondi pubblici: un anno fa il Presidente Wade ha fatto costruire l’imponente Statua della Renaissance Africaine e a breve inaugurerà l’enorme e lussuoso Centro Culturale di Dakar. Un grande spreco di risorse, se si pensa che nel Paese mancano infrastrutture e strutture di base, come scuole e ospedali.
I giovani, ancora una volta, sono stati il motore delle proteste in Medio Oriente, Nord Africa, ed Europa. Analogamente, il movimento anti-governativo che chiede il cambiamento in Senegal è composto da ragazzi e ragazzi. Era stata la fascia più giovane della popolazione avente diritto di voto a determinare l’elezione di Wade nel 2000, segnando la rottura con il regime socialista precedente. E saranno ancora una volta i giovani a determinare l’esito delle prossime elezioni presidenziali che si terranno a febbraio 2012.
In molti hanno sottolineato il potere di Internet nelle rivolte arabe e il ruolo dei social network nel coinvolgere la gente, mobilitare l’opinione, fare rete attorno a una causa. Anche in Senegal, pur tenendo in conto del digital divide, Facebook sta facendo la sua parte. La pagina Notre Sénégal, così come altri gruppi che nascono in rete, sono un continuo tam-tam di commenti, scambio di opinioni e lamentele, posts anti-governativi.
I social network sono diventati ovunque strumenti per la trasmissione di idee politiche, ma il movimento “Y en a marre” coniuga sapientemente all’uso “globale” del web un elemento “locale”: l’hip-hop, musica della gioventù africana per eccellenza, arma comunicativa molto efficace nel contesto senegalese.
In vista delle prossime elezioni presidenziali, Wade ha espresso l’intenzione di ricandidarsi, anche se in molti sostengono che passerà il testimone a suo figlio Karim, ora Ministro di Stato, della Cooperazione Internazionale, dei Trasporti Aerei, delle Infrastrutture e dell’Energia.
Il movimento “Y en a marre” non esclude la possibilità di sostenere un candidato alle presidenziali. Sarà l’hip-hop a fare tremare il potere?
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