Riprende l’appuntamento letterario de “Il racconto del giovedì“. Per le prossime quattro settimane inizieremo a leggere “La casa dei ricordi”, della scrittrice mozambicana Amilca Ismael.
Rita era la donna più giovane che si trovava nella casa di riposo: proprio lì la conobbi e, con lei, anche tutta la sua storia. La storia di una donna che cambiò la mia e la sua vita e che io ho deciso di raccontare, sperando che possa cambiare, se non altre vite, almeno altri modi di pensare.
Ero in ospedale, dove ero appena stata operata al ginocchio; non potevo muovermi, dovevo andare in bagno e, allora, suonai il campanello. Arrivò una ragazza vestita di bianco.
«Scusami, dovrei andare in bagno!».
«Se vuoi, ti do la padella…».
«Non riesco a farla nella padella; ho già provato prima, ma non ce la faccio».
«Va bene, ma prima devo chiedere all’infermiera se ti puoi alzare». Andò via, ma dopo un paio di minuti tornò.«Ok, ma facciamo piano; ti accompagno io».
«Scusami, perché mi hai detto che andavi dall’infermiera? Tu che ruolo hai qui?».
«Sono un OSS!».
«Che significa?».
«Operatore Socio Sanitario».
«In parole povere? Sai, sono ignorante in materia».
«Praticamente sono una figura che affianca l’infermiera».
«E, per fare questa professione, che titolo di studio serve? Sai, te lo chiedo perché volevo fare l’infermiera professionale, ma ormai serve la maturità e io mi sono fermata alla quarta liceo».
«Non preoccuparti, per questo lavoro devi frequentare un corso di specializzazione: serve solo la licenza di scuola media inferiore».
Dopo di che mi diede tutte le indicazioni necessarie sul corso, cosa dovevo fare, dove dovevo andare. Appena guarii, mi recai all’indirizzo che l’aiuto-infermiera mi aveva lasciato: le indicazioni erano precise, non potevo sbagliare. Da lontano vidi un edificio azzurro con delle bandiere di varie nazioni europee e capii di essere arrivata al posto giusto. In una via vicina parcheggiai l’auto, tra altre messe lì disordinatamente e fuori delle righe.
«Che disgraziate, non potevano parcheggiare meglio?» mormorai, mentre tentavo di infilare la macchina sfruttando il più possibile il misero spazio rimasto. All’interno della scuola un gruppo di ragazzi controllava in bacheca i voti finali. Alcuni erano felici e urlavano di gioia, altri erano disperati perché avevano creduto fino all’ultimo che la professoressa di matematica non mettesse quel maledetto quattro o che quella di inglese si fosse dimenticata di quanto l’avessero fatta penare durante l’anno; altri ancora si mangiavano le unghie, pensando: “Se solo avessi seguito i consigli di quella rompipalle di mia mamma”.
“Mannaggia a Maria De Filippi e ad Amici”.«E che dire del Grande Fratello?» mormorava la ragazza con jeans e maglietta attillata.«Se solo non avessi bigiato a quella lezione e Sonia fosse stata più elastica, facendomi copiare i compiti! Ok, forse pretendevo un po’ troppo da lei, ma doveva capire che dovevo uscire con Stefano, quello figo della birreria!» commentava la ragazza con la minigonna, parlando con la sua amica dai capelli biondi. Più in là, la solita secchiona, riconoscibile fra tutti per i suoi capelli raccolti con un elastico rosa e gli occhiali un po’ passati di moda, controllava in silenzio i voti ottenuti e malediva quell’otto in musica che le rovinava la media.
“Che nostalgia” pensai e sorrisi a quella scena che anch’io anni prima avevo vissuto. Mi venne in mente la prof di Portoghese… “Come si chiamava?” Pensai per un istante. “Ah, sì! Manuela Cruz! Come ho potuto dimenticare quel nome, era talmente stronza che la odiavano tutti!” Però che belli quei tempi e come capivo ora quei ragazzi! Per un istante mi sentii orgogliosamente una di loro. Ero talmente distratta da quella situazione da non accorgermi che ero arrivata alla segreteria.
«Buongiorno! La posso aiutare?».
«Buongiorno! Sì, vorrei informazioni riguardo il corso OSS».
La ragazza che si trovava al di là dello sportello, con un’aria simpatica e le sue guanciotte piene, mi sorrise gentilmente, mostrandomi i suoi denti bianchi, come se li avesse appena spazzolati, e, guardandomi con quegli occhi scuri e senza trucco, mi rispose decisa: «Mi spiace, ma il corso OSS è già iniziato. Se vuole c’è ancora la possibilità di iscriversi al corso ASA!».
«Di che cosa si tratta?» chiesi dubbiosa.
«Assistente Socio Assistenziale. Praticamente è un corso che ti permette di lavorare in case di riposo come assistente agli anziani». Aspettò in silenzio per un paio di minuti, guardandomi fissa negli occhi per poi continuare come volesse consigliarmi sul da farsi.
«Ma tu lavori?».
«No».
«Bene, molto bene! Frequentando questo corso, si viene pagati due euro all’ora e, con cinque ore di corso al giorno, si ha diritto anche a un buono pasto del valore di cinque euro che, volendo, si può anche spendere in alcuni supermercati. Se abiti lontano ti viene anche rimborsata la benzina».
Senza aspettare una risposta da parte mia, continuò: «Guarda, se vuoi il mio consiglio, è meglio fare l’ASA che l’OSS, perché è più facile trovare lavoro nelle case di riposo che in ospedale».
«Va bene, mi iscrivo» risposi sicura. I ragazzi si erano nel frattempo allontanati, rassegnati da quei voti, dati più o meno giustamente. Ripresi la macchina e guidai verso casa con il finestrino aperto e la musica a tutto volume. Pensai alla segretaria della scuola. La sua proposta era interessante.“Tanto devo solo assistere i vecchietti. I soldi sono assicurati. Devo solo lavarli e imboccarli, non è poi così difficile. Vale la pena tentare”. Tanti pensieri mi passavano per la testa! Non avevo la minima idea di che cosa si trattasse veramente: si parlava di assistere gli anziani, il corso era gratis e, anzi, si veniva pagati.
Avevo bisogno di soldi e di un lavoro fisso e la cosa divenne ancora più interessante. Dopo due giorni mi trovai di nuovo in una scuola: ero ancora una studentessa, ma una studentessa di trentanove anni. Era passato il tempo, ma mi accorgevo, guardando i miei compagni, che la situazione non era molto diversa. C’era l’approfittatore che non studiava mai e copiava sempre, la secchiona pronta ad alzare la mano quando non riuscivi a dare una risposta, e allora mi resi conto che neppure io ero cambiata: anche vicino ai quarant’anni venivo ripresa dal prof che tentava di farmi stare zitta.
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