Il primo film italiano in concorso alla Mostra di Venezia, Terraferma di Emanuele Crialese, racconta la quotidiana vita di un’isola – facile l’accostamento a Lampedusa – “sconvolta” dall’emergenza clandestinità.
Gli sbarchi vengono visti dagli occhi dei pescatori siciliani che, nell’indecisione se seguire l’ancestrale legge del mare oppure le leggi umane, scelgono di prenderli a bordo con loro, noncuranti delle nuove leggi che impongono di lasciarli alle autorità competenti per trattenerli nei ctp.
In sala otto minuti di applausi accolgono il regista, che ha così commentato la pellicola:
“Il mio film non parla di immigrazione, quello che sta accadendo nei nostri mari è una specie di nuovo Olocausto. La nostra è una risposta inadeguata, lasciare morire la gente tra le onde è un segno di enorme inciviltà, ma non ce ne rendiamo quasi più conto, sono notizie che occupano pochi minuti nei nostri telegiornali. Questo significa che ad aver perso la rotta siamo prima di tutto noi.
Quelli che arrivano davanti alle nostre coste sono persone che hanno lasciato i loro Paesi d’origine, persone che esprimono movimento, progresso, una ricerca di evoluzione che vale per tutti, anche per noi, solo che oggi succede che a una parte del mondo venga permesso di evolversi e ad un’altra no.
Secondo me l’Europa tutta ha bisogno di contaminazione, e l’Italia, che in questo momento mi sembra un Paese un po’ vecchio, potrebbe ricevere dagli immigrati l’aiuto necessario ad uscire dall’impasse”.
Il film – interpretato da Beppe Fiorello, Donatella Finocchiaro e Timnit T., una ragazza clandestina – è stato apprezzato anche da Laura Boldrini, portavoce dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) :
“L’immigrazione è un fenomeno che ha cambiato il costume italiano, in tutti i settori dell’esistenza. Sono mutati i nostri gusti musicali e le nostre abitudini gastronomiche, ci siamo sentiti sollevati dal problema dell’assistenza agli anziani perché oggi abbiamo i badanti e da quello degli asili perché abbiamo chi si occupa dei nostri bambini. Insomma, abbiamo guadagnato un valore aggiunto che finora non è stato restituito. Bisogna uscire dall’equazione migranti uguale minaccia della nostra sicurezza. Dobbiamo renderci conto che non possiamo ragionare con la lista dei ‘tranne’, ovvero, sì, vadano tutti via, tranne la mia badante, la mia baby-sitter, e via così”.
Il film di Crialese non ha però ricevuto solo lodi. La retorica del politically correct renderebbe il film di parte, con una netta tendenza alla politicizzazione di una tematica così delicata quale è quella dell’immigrazione clandestina. Inoltre il messaggio secondo cui – come traspare dalla pellicola – la legge vieterebbe il comportamento dei pescherecci che salvano le vite dei migranti, è stato definito mistificatorio.
Il regista romano definisce “nuovo Olocausto” quanto accade nel Mediterraneo e respinge le accuse:
“Terraferma è un film non giudicante, che non dà risposte e comunque non ha tesi. Avevo necessità di raccontare questa storia, di approfondire certi temi, non faccio film pensando al pubblico e questo forse è il miglior modo per rispettarlo. Se si raccoglie in mare degli extracomunitari e non li si denuncia alla polizia si è accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. La risposta dello Stato a questo problema è inadeguata e va contro le regole più elementari di civiltà. Lasciar morire la gente in mezzo al mare è un segno di inciviltà, ma responsabili sono anche i mass media che parlano di questo in modo falsato”.
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[…] “Terraferma“, ha detto Sassoli, “è un film che racconta la necessità di cambiare il modo di dialogare tra noi e chi arriva nel nostro Paese e l’impegno degli eurodeputati italiani va in questo senso perché vogliamo costruire un’Europa forte nel Mediterraneo’. Nel film emergono quei valori che sono a fondamento della costruzione europea, l’incontro con gli altri, la solidarietà, i valori che l’Europa è riuscita a costruire. L’Europa che non incontra gli altri è destinata a essere marginale”. […]
[…] Terraferma affronta con crudezza e lirismo una delle problematiche più spinose della nostra Italia contemporanea, lo sbarco di immigrati ridando dignità e umanità e, soprattutto, un volto e una storia a quei clandestini che nei nostri telegiornali altro non sono che vaghi numeri, nient’altro che una notizia routinaria che si sussegue di giorno in giorno e che atrofizza la nostra percezione della realtà, che non ci mette più nelle condizioni di riconoscere la gravità dell’accaduto. Con Crialese, queste persone riacquistano un’umanità, hanno le loro gioie, le loro speranze, le loro sofferenze. Sono esseri umani come noi. Il regista critica fortemente il reato di clandestinità. Alla legge voluta dal governo Berlusconi, si sostituisce spesso la “legge del mare”, antica di millenni: prestare sempre soccorso ai naufraghi. “Siamo (noi italiani) geograficamente in mezzo in una culla di civiltà che ormai è diventata una culla di inciviltà”, afferma il regista. […]
[…] tema sull’immigrazione è risultato essere al centro della Mostra, infatti ci sono altre due opere che parlano di extracomunitari e sbarchi. Il film di Olmi racconta la storia di un parroco che decide di spalancare le porte di una chiesa a […]
Bravo Emanuele Crialese!!! Belle dichiarazione! Lasciare morrire gente nel mare é uno signo di civilità e è inumano!
Per mé é un crime!
Espero che il siglore Maroni ha capito.
Kayak per il diritto alla vita