Il villaggio di cartone: la volontà di cambiare il mondo

di Luca Ortello

Una chiesa non serve più e viene svuotata di tutti gli arredi sacri, compreso il grande crocifisso sopra l’altare. Il vecchio prete non può far altro che rassegnarsi a questa sorte. Quando ormai la casa di Dio è spoglia e nuda, con solo l’altare di marmo e le panche, un gruppo di immigrati africani senza permesso di soggiorno la occupano abusivamente per sfuggire agli arresti della polizia. Il vecchio prete decide di aiutarli e nasconderli, ridando così senso alla propria esistenza.

Ermanno Olmi, come Emanuele Crialese aveva fatto con Terraferma, racconta una storia di immigrazione, rispetto, conoscenza dell’altro, incontro e scontro, aggiungendo una tematica importante: la religione. Più volte nel film vengono citati passi della Bibbia sul rispetto e l’amore verso il prossimo; e non è per vana retorica che Olmi decide di dare un’impronta cristiana al suo ultimo film, visto che, come critica espressamente e senza mezzi termini il regista, l’Italia è diventata un Paese xenofobo, dove l’immigrazione clandestina è considerata un crimine e i migranti stessi perseguitati dalla polizia come ricercati pericolosi. La polizia come nemico invisibile, rappresentata a volte solo tramite il rumore delle sirene dei lampeggiatori blu rotanti, e il clandestino come inerme vittima di un sistema giuridico assurdo che lo bracca senza pietà. Eppure, a ben vedere, le stesse forze dell’ordine non fanno altro che eseguire degli ordini da parte di autorità superiori (i politici), che legiferano e approvano decreti contro ogni logica e morale, sia civica che cristiana. In tutto questo scenario surreale e quasi da film di fantascienza, spicca la figura del vecchio prete, stanco fisicamente ma forte e determinato interiormente, un parroco che ammette i propri difetti e peccati di uomo. Nella conversazione col dottore ateo, il prete riconosce che alle volte si sente la necessità di pregare anche se non si crede, semplicemente per non sentirsi soli. Un universo fatto di solitudine, incertezza, dove la tentazione e il peccato sono sempre in agguato, contrastati dalla solidarietà e dal vero spirito cristiano vòlto all’aiuto e al soccorso degli inermi.

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Tra gli immigrati, alcuni hanno intenzione di raggiungere la Francia per costruirsi una vita migliore, altri sono giunti per portare morte e distruzione tramite attentati sucidi, per stravolgere il sistema, per farla pagare ai ricchi, a coloro i quali contribuiscono all’acuirsi delle disparità sociali e alle ingiustizie di classe. E un uomo che, giunto in Italia, prende una decisione sconvolgente: tornare in Africa, per renderla migliore. Perché l’Africa può migliorare solo se gli africani stessi lo vorranno; un modo per ricordare anche tutti i naufraghi del Mediterraneo, come testimonia il quadernino dell’uomo annegato durante la traversata: un uomo di cui nessuno sa nulla, a parte l’esistenza di alcune pagine che raccontano la genesi della creazione del mondo. E, come sottolinea Olmi alla fine del film, forse è davvero possibile scrivere un nuovo inizio per questo mondo:

Se non saremo noi a cambiare la Storia, allora sarà la Storia a cambiare noi.


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