Intervista di Francesco Caselli e Joshua Evangelista
Paul Sydnor, responsabile europeo dello Iafr (International association for refugees), racconta a Frontiere News cosa vuol dire assistere i rifugiati da credenti, puntando alla dignità del rifugiato e senza la necessità di fare proselitismo in maniera subdola.
Cos’è lo Iafr?
E’ un’associazione che opera all’interno di alcuni dei principali campi per rifugiati del mondo, come ad esempio quello di Kakuma, in Kenya. Lavoriamo con le comunità cristiane presenti nei campi, offrendo assistenza spirituale, letteratura e bibbie.
Qualcuno potrebbe rimproverarvi di tralasciare l’aiuto materiale.
Il grandissimo errore che si fa all’interno delle grandi organizzazioni umanitarie è quello di separare i bisogni fisici da quelli spirituali. L’essere umano è come una cipolla: il primo strato è composto dalle necessità immediate. Siamo felici di cooperare con l’Unhcr o con altre associazioni che danno ai rifugiati cibo, assistenza medica e legale. Ma non basta. C’è una dimensione più profonda che viene troppo spesso tralasciata. Portiamo bibbie ai rifugiati perché sono loro che ce lo chiedono. Non dimentichiamo che abbiamo a che fare con persone che hanno perso tutto: casa, lavoro e molto spesso famiglia. Appena arrivati al campo chiedono cibo, ma immediatamente dopo sentono il bisogno di ricostruire la propria vita. Ed è una ricostruzione che parte da dentro.
Quanto è reale, in questo tipo di missione, il rischio di un’occidentalizzazione coatta?
Il rischio è reale. Proprio per questo noi ci rifiutiamo di dare risposte ai rifugiati. Il nostro compito è quello di metterli in condizione di trovare da soli le risposte. Proprio per questo lavoriamo con le chiese cristiane formatesi autonomamente nei campi dei rifugiati. Non andiamo a fare beneficenza, cerchiamo di costruire una cooperazione reale. Perché il sussidio più efficace non viene da noi.
Qual è il sussidio più efficace?
Quello degli altri rifugiati, gli unici che possono capire veramente cosa significhi vivere in una terra di nessuno, senza un lavoro e senza un progetto di vita. Il miglior aiuto che possiamo dar loro è ascoltarli, far capire che siamo interessati alla loro storia, alle loro paure.
Lo Iafr opera anche in Europa. Che idea si è fatto delle odissee quotidiane dei nordafricani diretti in Italia, Grecia, Spagna e Malta?
E’ un fenomeno molto triste. Ma anche pieno di speranza. Queste persone sono in grado di arrivare in Europa nonostante difficoltà di ogni genere, come la criminalità organizzata, il mare in tempesta e la polizia. Mi fa riflettere sulla forza umana, che è soprannaturale e inspiegabile quando c’è un bisogno forte.
La sua speranza non è condivisa dai governi europei.
Sa qual è il più grande problema? Una totale assenza di educazione all’immigrazione. Si creano tantissimi equivoci con le popolazioni locali perché c’è una campagna in atto per definire i migranti clandestini “illegali”. Anche se non hanno fatto niente. Questo genera nelle persone tanta diffidenza. Automaticamente l’immigrato diventa un potenziale criminale.
Dove ha riscontrato principalmente questo fenomeno?
A Malta. C’è una fortissima discriminazione verso gli immigrati di colore. Che vengono puntualmente scartati da ogni lavoro.
Pregiudizio o paura?
Paura. Paura di avere a che fare con persone “illegali”.
Attualmente nel mondo ci sono più di 44 milioni di rifugiati. Per sostenere i progetti dello Iafr, è possibile fare una donazione attraverso iafr.org.
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