Il modello Riace è un’occasione persa e Lucano è stato tradito dalla sinistra

Che ne sarà del modello Riace, tanto osannato dalla stampa internazionale? La condanna a tredici anni e due mesi dell’ex sindaco Lucano divide la costellazione progressista italiana: le grandi manifestazioni di solidarietà sono in contrasto con le reazioni tiepide (o addirittura il silenzio) della politica calabrese. Chi sono i Bruto e i Cassio di questo “omicidio politico”?

L’omicidio politico si consuma in un tiepido giorno di fine settembre: Domenico Lucano esce dal Tribunale di Locri visibilmente provato, agitato, scosso. Tredici anni e due mesi di carcere: sembra una sentenza che esce fuori da un maxi-processo per mafia, da qualche aula bunker dove si ricostruiscono i reticoli delle cosche malavitose.

E invece, pochi giorni dopo che i giudici di Palermo hanno sentenziato che “la trattativa Stato – mafia ci fu ma non fu reato”, a Locri viene aumentata la pena (la richiesta dell’accusa era di otto anni) per chi ha a che fare con le migrazioni.

Basta, per me finisce tutto, finisce tutto”, ripete Mimmo Lucano uscendo dal Tribunale di Locri. È distrutto, lo si vede e lo si percepisce: forse è la prima volta che il combattente è senza forze.

Il modello Riace si arresta definitivamente, nonostante circa un anno fa (giugno 2020) il Consiglio di Stato ne riconosceva il valore e anzi considerava la chiusura dei progetti SPRAR fosse un errore. Quella chiusura fu voluta dal Viminale, la cui poltrona principale era occupata da Matteo Salvini. La sentenza seguiva quella del TAR, sulla stessa lunghezza d’onda.

Il Consiglio di Stato inoltre sottolineava le gravi mancanze del Ministero dell’Interno che, prima di esercitare misure demolitorie, avrebbe dovuto esercitare correzioni di eventuali anomalie.

E, cosa non verificatasi con Lucano, “il potere sanzionatorio/demolitorio è esercitabile solo se l’ente locale che si assume sia incorso in criticità sia stato avvisato, essendogli state chiaramente esposte le carenze e le irregolarità da sanare, gli sia stato assegnato un congruo termine per sanarle, e ciò nonostante, non vi abbia provveduto”.

Un attacco a più livelli

L’attacco al mondo della solidarietà avviene su due piani: il primo tramite l’emanazione di normative che vanno a gettare caos ed emarginazione, il secondo cercando di distruggere il modello capostipite di Riace.

A onor del vero, l’apripista delle politiche securitarie è il governo a forza PD: Minniti è esponente di spicco del partito e ministro dell’Interno quando firma gli accordi con i libici, che si scopriranno essere trafficanti di esseri umani e gestori dei centri detentivi illegali, nonché attivi nel mercato nero di armi e di petrolio. Di fatto, viene istituzionalizzato un memorandum con la mafia libica.

Sono mesi assai convulsi: il più feroce trafficante di esseri umani della Libia, Bija, viene ospitato al CARA di Mineo all’interno della trattativa per la gestione delle migrazioni. Verrà munito dei documenti necessari ed entrerà in Italia, da Zawiya, città da dove arrivano sconcertanti testimonianze di feroci torture e violenze e di cui la cupola di Bija è la capostipite insieme ai fratelli Koshlaf.

Ed è sempre l’allora ministro Minniti a emanare il decreto che sopprime il secondo grado di giudizio per i migranti (quindi un grado in meno), crea giudici istituiti ad hoc e stabilisce il passaggio dai CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione) ai CPR (Centri di Permanenza per il Rimpatrio). Su questi ultimi l’obiettivo di emarginazione è platealmente dichiarato poiché “la dislocazione dei centri di nuova istituzione avviene, sentito il presidente della regione interessata, privilegiando i siti e le aree esterne ai centri urbani”.

LEGGI ANCHE:   Dimenticato in un centro di detenzione per migranti

In un clima da crociata contro le ong, seguiranno i Decreti sicurezza del leader della Lega, che porteranno al rovesciamento del mondo dell’accoglienza, alla ricattabilità dei migranti da parte dei datori di lavoro e all’istituzione, di fatto, del reato di soccorso.

La guerra al modello Riace

Nell’ottobre del 2017 Lucano finisce nel registro degli indagati per abuso d’ufficio, concussione e truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche ai danni dello Stato e dell’UE.

È il periodo in cui il mondo del sociale e dell’accoglienza ha i primi, vertiginosi e pesanti attacchi da parte del Viminale: è l’apertura verso il modello securitario inaugurato dal PD e seguito fedelmente dalla Lega. E che vede lo sfaldarsi del sistema di accoglienza virtuosa in cambio di un aumento degli irregolari e dei sistemi di accoglienza a grandi numeri, quindi ingestibili.

Riace in questo periodo è un modello virtuoso studiato da mezza Europa ed emulato da altri comuni calabresi e italiani, in primis per la possibilità di ripopolare i piccoli centri meridionali e contrastarne lo svuotamento.

I numeri di Riace parlano chiaro: quando Lucano diventa sindaco, nel 2004, Riace conta 1.638 abitanti. Quando cominciano i problemi con i decreti legge (di Minniti–Orlando prima e di Salvini poi) e contemporaneamente partono i processi, Riace ha 2.345 abitanti (+707): la popolazione è aumentata quasi di un terzo.

In quella Riace sono sono sorti posti di lavoro e i ragazzi hanno la possibilità di rimanere nella propria terra. Inoltre si è sviluppata un’integrazione simbiotica tra stranieri ed italiani, ormai racchiusi sotto la categoria comune di “riacesi”.

In una terra, la Calabria, devastata dalla disillusione giovanile e dalla conseguente emigrazione. Sono note le immagini immortalate alla fine di ogni festività: migliaia di giovani calabresi in attesa alle pensiline per tornare al nord Italia attraverso i pullman “dei cervelli in fuga”.

Proprio mentre Riace si ripopola e vince la sua sfida, la Calabria si svuota, passando dai 2.009.623 residenti del 2001 ai 1.877.728 del 2021. In vent’anni, 131.895 persone hanno abbandonato la regione.

Un’occasione persa per l’Italia

Il modello Riace, fiore all’occhiello della Calabria che passa agli onori della cronaca per un modello virtuoso, viene disgregato e disintegrato.

Il paesino reggino dimostra tre cose: è possibile contrastare l’emigrazione giovanile, si possono creare posti di lavoro per gli autoctoni ed è possibile gestire l’immigrazione attraverso l’integrazione. Togliendo, inoltre, il business dei rifiuti alla malavita organizzata attraverso la raccolta e il trasporto dell’immondizia con la modalità dell’asinello porta a porta. Proprio su questo punto Lucano viene accusato di aver turbato le procedure di gara per l’assegnazione del servizio, non tenendo conto però dell’importanza di gestire i rifiuti ottimizzando le proprie risorse (in questo caso i due asinelli) evitando infiltrazioni della mafia.

LEGGI ANCHE:   Niger, frontiera di sabbia e di sangue

Il progetto dell’accoglienza diffusa è stata emulata da centinaia di piccoli comuni, specie nel meridione: prima di essere perseguita, Riace era diventata un modello.

Questo modo di pensare l’integrazione avrebbe potuto, di fatto, spargersi a macchia d’olio in tutto il sud, facendo saltare in aria le infiltrazioni cancerogene all’interno della gestione dei migranti. E, Mafia Capitale docet, i migranti possono diventare un business redditizio e pericoloso.

Perfino la Germania guardava con interesse le vicende riacesi, tanto da conferire a Lucano l’ottavo Premio Internazionale della Pace “Dresden-Preis” (2017). Poco prima Papa Francesco gli aveva scritto una lettera e la rivista americana Fortune lo aveva inserito tra i 50 leader più influenti del mondo, unico italiano. In quegli anni, la Calabria spopolava nel mondo come potenziale modello virtuoso e il binomio integrazione–opportunità veniva considerato vincente su tutti i fronti: economico e sociale.

Lo smantellamento del sistema Riace diventa un’opportunità persa per l’Italia. Ma soprattutto per la Calabria: viene distrutta la possibilità, per il territorio calabrese, di passare agli onori della cronaca per qualcosa di straordinariamente visionario e rivoluzionario.

Lo smantellamento

Lucano è stato attaccato per attaccare un modello, anzi, “il modello” di integrazione. Così Riace è diventata per Matteo Salvini una roccaforte da espugnare. Il leader leghista sui social network si dimostra particolarmente attento alle vicende dell’ex sindaco e infine conquista il paese alle elezioni comunali, con un primo cittadino (Antonio Trifoli) che verrà però ben presto dichiarato ineleggibile dalla Corte di Appello di Reggio Calabria.

Cosa ha portato la distruzione del sistema creato da Lucano? Verrebbe da dire che la cancellazione del modello Riace abbia danneggiato il territorio. Dalla diminuzione degli introiti del “turismo solidale”, molto sviluppato durante gli anni passati, al crollo demografico: -476 abitanti rispetto al 2017.

LEGGI ANCHE:   Essere donna, tra Italia e Subcontinente indiano

Durante gli attacchi all’ex sindaco di Riace, la società civile calabrese ha dimostrato vicinanza a Lucano con importanti manifestazioni: imponente è stata quella del 2019, ancor di più la mobilitazione dello scorso venerdì, che ha coinvolto le città calabresi così come Firenze, Milano, Napoli e molte altre.

In questo contesto diventa ancora più assordante il silenzio di parte dell’associazionismo calabrese: in pochi hanno preso le difese di Lucano. Chi si è chiuso nel silenzio ha prestato il fianco alle forze politiche che sguainavano la spada per tagliare le gambe al modello riacese. Senza capire che questo avrebbe avuto ripercussioni sull’intero sistema, come insegnano i decreti sicurezza.

Quei silenzi a sinistra

Se la contrapposizione tra Lucano e la destra italiana è fisiologica per contrapposizione di ideologie diametralmente opposte, quello che fa scalpore è il silenzio della sedicente sinistra: l’ex sindaco di Riace ha dimostrato che è possibile fare politiche di sinistra e apportare cambiamenti alla società, conducendo un Comune ad una visione di solidarietà, fratellanza e miglioramento della condizioni economiche. La sensazione è che questo abbia fatto paura proprio ai maggiori partiti di sinistra, che all’ala centrista non vogliono assolutamente rinunciare.

Alla vigilia delle elezioni regionali in Calabria, il fronte della destra si dimostra compatto e quindi in vantaggio rispetto all’ala della sinistra, divisa in tre parti.

Dopo la condanna a tredici anni e due mesi comminata a Lucano, sono arrivati messaggi di solidarietà da due dei tre candidati di sinistra: De Magistris prima, Oliverio dopo. La coalizione a trazione PD, appoggiata dal Movimento Cinque Stelle, si è trincerata nel silenzio. Nonostante il segretario del partito Enrico Letta abbia espresso sorpresa dicendosi “esterrefatti per la pesantezza della pena”, e manifestato in un tweet “solidarietà e vicinanza” all’ex sindaco di Riace, la sezione regionale non l’ha seguito, non ha commentato, trincerandosi dietro un no comment assordante: Amalia Bruni nella chiusura della campagna elettorale ha parlato di tutto, fuorché di Mimmo Lucano. E così i maggiori esponenti locali del partito.

E questo perché le politiche di Lucano costringono i partiti e i loro esponenti a guardarsi allo specchio senza trovare alcun “abbigliamento” di sinistra: Riace è stata smantellata non per l’aggressione della destra, ma per il mancato appoggio della sinistra. Per il silenzio, che vale più di mille parole. Dietro all’omicidio politico ci sono molti Bruto e Cassio che, a parole, sono a sinistra.

Se Domenico Lucano è colpevole, lo sono anche tutti coloro che con passione lavorano nel campo delle migrazioni per cercare di restituire dignità a coloro che vengono in Italia con il corpo lacerato dalle guerre, fatte con le armi che l’occidente smercia come caramelle. Quei migranti arrivano con le torture inflitte dai torturatori libici che l’Italia (e l’Europa) finanzia.

La condanna è un monito: per la sproporzione della pena sembra una minaccia a tutto il mondo della solidarietà.


Profilo dell'autore

Pietro Giovanni Panico
Pietro Giovanni Panico
, consulente legale specializzato in protezione internazionale ed in diritto dell'immigrazione, si occupa di migranti e della loro tutela. È anche giornalista freelance, con collaborazioni con Melting Pot Europa e Dossier Libia: ha scritto inchieste sui traffici di armi, sulla mafia libica, sui minori stranieri non accompagnati e sul conflitto in Yemen.
Dello stesso autore

1 Comment

  • Il PD non è mai stato un partito di sinistra e già nel PCI di Napolitano e Turco il razzismo aveva soppiantato i valori della Resistenza per adeguarsi agli interessi dei padroni e della NATO. Dunque Mimmo Lucano era già solo dall’inizio, rispetto alla politica parlamentare. La solidarietà ai migranti è un ostacolo alla politica di persecuzione e isolamento dei migranti che serve a sfruttarli economicamente togliendo loro ogni diritto e percezione di diritto. Pd-pdl-m5s sono tre correnti di un unico schieramento schiavista, che in molti campi svende anche gli interessi nazionali per favorire quelli stranieri (Alitalia per esempio). Dunque nessuna sorpresa se Lucano è solo, ma è ancora il primo livello di giudizio e l’esito può ancora essere ribaltato ….

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Potresti apprezzare anche

No widgets found. Go to Widget page and add the widget in Offcanvas Sidebar Widget Area.