Da oggi, per quattro venerdì, racconteremo in maniera canzonatoria la vita di quattro grandi leader contemporanei con i ritratti caricaturali dell’artista Andrea Gatti. Cominciamo con Mahmoud Ahmadinejad.
testo di Valentina Severin – immagini di Andrea Gatti (potete accedere ad altre sue produzioni su agatti.com e digitalportraits.biz)
Mahmoud Saborjhiān, meglio noto come Mahmoud Ahmadinejād, sesto e attuale Presidente della Repubblica Islamica dell’Iran, nasce il 28 ottobre 1956 nel piccolo villaggio di Aradan, nella provincia di Garmsar. Mahoumd è il quarto dei sette figli del pio Ahmad, barbiere, fruttivendolo e fabbro, e di “Seyyede” Khanom, discendente diretta di Maometto.
L’INFANZIA – Sin da piccolo Mahmoud, che si distingue per modestia, umiltà e devozione, viene educato ai precetti del Corano e già in tenera manifesta un interesse quasi ossessivo per il Dodicesimo Imam, Mahdi.
Quando Mahmoud ha un anno, Ahmad decidere di dare una svolta alla loro vita e fa trasferire la famiglia a Teheran. Città nuova, nome nuovo. “Saborjhiān”, infatti, non è certo un nome adatto alla capitale. Prima di tutto perché è un nome tipico del mondo contadino. E poi perché è molto diffuso tra gli ebrei iraniani, dai quali l’ex barbiere, fruttivendolo e fabbro discende. La scelta di Ahmad ricade quindi su “Ahmadinejād”, che oltre a fare riferimento a se stesso, richiama anche uno dei nomi del profeta Maometto. Risolta la questione del nome imbarazzante, Ahmad può dormire tranquillo e Mahmoud può crescere senza complessi di inferiorità.
GLI STUDI – A scuola Mahmoud è un vero talento e a vent’anni vince la sua prima corsa al potere, piazzandosi centotrentaduesimo su quattrocentomila al concorso dell’università nazionale dell’Iran. In dieci anni si laurea in Ingegneria civile all’Università Iraniana della Scienza e della Tecnologia e nel 1997 conclude il dottorato in Ingegneria civile e Pianificazione dei Trasporti Pubblici. Mahmoud vive il periodo universitario con molta intensità, partecipando attivamente alla vita accademica e non. Dal 1979, per esempio, lo si vede tra le file del Primo Ufficio per la Regolamentazione dell’Unità, che si occupa di controllare e reprimere la potenziale dissidenza studentesca, passatempo che Mahmoud continuerà a coltivare anche da Presidente.
GLI ESORDI IN POLITICA – Per non farsi mancare proprio nulla, negli anni Ottanta Mahmoud comincia ad assumere le prime cariche amministrative nell’Azerbaigian Occidentale e, altruista com’è, si offre come volontario nell’Intelligence e nel servizio di sicurezza dei Guardiani della Rivoluzione Islamica (Pasdaran). Con gli amici del Pasdaran si diletta a eliminare dissidenti in Iran e all’estero e a partecipare alle torture dei prigionieri di Evin, a Teheran, e ad alcuni omicidi politici in Vicino Oriente ed Europa, come quello del leader curdo Abd al-Rahmān Qāssemlu a Vienna, nel 1989. Tra Ahmadinejād e il Pasdaran è amore a prima vista: condividono i valori basij dei primi giorni della rivoluzione khomeinista e si battono contro la corruzione.
GLI ANNI DA SINDACO – Intanto Mahmoud continua la sua umile scalata al potere. Nel 2003 diventa sindaco di Teheran e comincia a stringere le prime amicizie al di fuori dei confini iraniani. Nel 2004 invita Hugo Chavez a Teheran per l’inaugurazione di una statua di Simon Bolivar nel parco Goft-o-gou e nel 2005 è tra i sessantacinque finalisti per il riconoscimento di “Sindaco dell’anno 2005”. Già come sindaco, infatti, Ahmadinejād dimostra di essere un potente “illuminato”. Appena eletto revoca gran parte delle riforme fatte dai suoi scellerati predecessori “moderati” e “riformisti”, ma una delle sue azioni più significative è senz’altro l’indispensabile creazione di ascensori separati per maschietti e femminucce negli uffici del comune.
In quanto sindaco di Teheran, poi, assume la direzione del quotidiano Hamshahri e in men che non si dica sostituisce l’editore Mohammad Atrianfar con Alireza Sheikh-Attar. Nel giugno 2005, però, licenzia anche Sheikh-Attar per avergli disobbedito e non averlo sostenuto nella campagna elettorale presidenziale. Non contento fa saltare anche il posto di un altro giornalista, Nafiseh Kuhnavard, che aveva osato indagare sulle “linee rosse” del regime e sulle agenzie parallele e illegali dell’intellighenzia. Qualche tempo dopo, coincidenza strana, gli elementi islamici più radicali accuseranno Kuhnavard di spionaggio a favore della Turchia e della Repubblica dell’Azerbaijan.
LA PRESIDENZA – Nel 2005 Ahmadinejād, con l’umiltà che lo contraddistingue, abbandona la carica di sindaco di Teheran per assumere quella di Presidente dell’Iran. Grazie al suo stile di vita semplice infatti Mahmoud Ahmadinejād, difensore dei ceti meno agiati, modello di integrità religiosa assolutamente estraneo alla corruzione, vince le elezioni presidenziali iraniane al secondo turno, battendo il Presidente uscente hojjatoleslam Ali Akbar Hashemi Rafsanjani con il 61,69% delle preferenze. Inspiegabilmente, però, il risultato del voto solleva qualche polemica. Qualche invidioso, infatti, sostiene che il Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione non abbia mantenuto un comportamento imparziale durante lo svolgimento delle votazioni. E anche gli altri due candidati, il riformista Mehdi Karrubi arrivato terzo, e Rafsanjani denunciano il fatto che i Guardiani della Rivoluzione e le milizie del Basij si siano mobilitati a favore di Ahmadinejād per condizionare illegalmente le elezioni. Il caro amico di Ahmadinejād, lo Ayatollah Khamenei, non bada tuttavia a queste calunnie e il 3 agosto 2005 Mahmoud diventa Presidente. Durante la cerimonia, per ringraziare come si deve Khamenei, Ahmadinejād gli bacia la mano, passando alla storia come il secondo presidente iraniano, dopo Mohammad Ali Rajai, ad aver baciato la mano di una Guida Suprema.
UN GOVERNO ESEMPLARE – Tutto entusiasta, il neo Presidente annuncia di voler creare in Iran un “governo esemplare per i popoli del mondo” e tanto per cominciare, si mette contro agli Stati Uniti e l’ONU, che egli ritiene “unilateralmente schierate contro l’Islam” e che accusa di tramare per ostacolare il ritorno del suo amato Dodicesimo Imam. Tuttavia Ahmadinejād non disdegna, all’occorrenza, di importare qualche tonnellata di carburante proprio dagli infedeli e corrotti Stati Uniti.
Visto che durante la campagna elettorale aveva promesso di “mettere sulle tavole del popolo i profitti del petrolio”, Ahmadinejād si impegna anche a costituire un fondo da 1,3 milioni di dollari con le rendite iraniane dell’oro nero per aiutare i giovani e trovare lavoro e casa e sposarsi. In onore agli Imam sciiti, ai quali è tanto affezionato, Mahmoud chiama il fondo “Fondo dell’amore dell’Imam Reza”.
POLITICA ESTERA ED ECONOMICA – Se da sindaco aveva fatto amicizia con Chavez, da Presidente si allarga e prende l’abitudine a fare merenda con Vladimir Putin. Insieme i due si danno da fare per risolvere la crisi nucleare dell’ex Persia e per allungare le mani sul Mar Caspio, alla faccia degli Stati Uniti che vogliono bloccare lo sviluppo industriale e tecnologico del Paese.
L’ambizioso progetto nucleare di Mahmoud, però, costa caro all’Iran, che vede piovere sanzioni da parte dell’ONU. Cominciano a scarseggiare i beni di lusso e a poco a poco vengono razionati anche i generi di prima necessità. L’Iran, infatti, è il quarto produttore mondiale di petrolio, ma non servono a molto i giacimenti se non si ha la tecnologia per la lavorazione del greggio. Bisogna dunque farsi qualche amico in più. Per questo il Presidente si attiva per sviluppare un programma antiterrorismo e lo fa finanziando gli Hezbollah. La mossa però non funziona e l’Iran fatica a trovare qualcuno che raffini il suo petrolio, perciò comincia il razionamento della benzina e ben presto l’inflazione schizza al 25-35%. Altro primato del talentuoso Ahmadinejād.
Per procacciarsi nuovi amici, Ahmadinejād pensa bene di esprimere al mondo la propria buona opinione su Israele e durante la conferenza internazionale “Il mondo senza sionismo” dell’ottobre 2005, non si lascia sfuggire l’occasione di citare Khomeini affermando che Israele è destinata “a scomparire dalla pagina del tempo”. E arriva anche a negare che l’Olocausto sia mai avvenuto. Dimenticando che una volta si chiamava Mahmud Saborjhiān e che papà era proprio di famiglia ebrea.
POLITICA INTERNA – Nel 2006 arrivano le prime grane in casa. L’integerrimo Mahmoud, infatti, viene accusato di avere l’occhio malandrino e finisce sotto inchiesta per aver posato il proprio sguardo conservatore su alcune ballerine senza velo durante la cerimonia di inaugurazione dei Giochi Asiatici in Qatar, violando così i precetti di quel Corano che si vanta di conoscere a menadito. Ma Ahmadinejād non si lascia intimidire dalle calunnie e procede dritto per la sua brillante strada.
Memore dei tempi dell’università e coerentemente il proposito di aiutare i giovani a costruirsi un futuro, già dal suo primo mandato Ahmadinejād opera la sistematica repressione di qualsiasi manifestazione di protesta studentesca. Una a caso, quella del 9 luglio 2007 che ricorda l’ottavo anniversario della strage fatta nei dormitori dell’ateneo di Therean dagli amici di Mahmoud del Pasdaran.
Nel dicembre del 2008 Ahmadinejād promette un piano di salvataggio per aiutare le classi più deboli ma intanto, con l’aiuto dei suoi amici del Pasdaran acerrimi nemici della corruzione, ha affidato ad aziende dalla discutibile efficienza il monopolio degli appalti e delle commesse governative. Si vocifera addirittura che il Governo illuminato di Ahmadinejād abbia esaurito il fondo di riserva iraniano e sprecato la bellezza di centoquaranta miliardi di dollari. Le voci vengono confermate dalla Suprema Corte dei Conti, che a febbraio dell’anno successivo, denuncia un ammanco di 1.058 miliardi di dollari di surplus dei conti petroliferi nel bilancio 2006-2007. Prontamente Ahmadinejād si difende e accusa la Suprema Corte di aizzare il popolo contro il Governo, mentre il Centro di ricerca del Parlamento riporta che il deficit nel bilancio dell’Iran ammonta a quarantaquattro miliardi di dollari.
IL SECONDO MANDATO – Qualche tempo prima, nell’agosto 2008, lo Ayatollah Khamenei fa la propria premonizione, asserendo di vedere Ahmadinejād come Presidente per i cinque anni a venire. E ci azzecca. Nel giugno 2009 il 62,63% degli iraniani al voto conferma Mahmoud come Presidente, contro Mir- Hossein Mousavi. A differenza della volta precedente, le denunce di irregolarità arrivano già durante le votazioni, ma i premurosi sostenitori di Ahmadinejād provvedono a reprimere le contestazioni nel sangue.
Ancora una volta l’amico Khamenei approva formalmente il risultato elettorale e il 5 agosto Ahmadinejād rinnova il proprio giuramento. E poco dopo provvede a bandire gran parte delle istituzioni straniere nel Paese, a partire dai mezzi di informazione e dalle organizzazioni per i diritti umani. Ahmadinejād si affretta anche nominare vicepresidente il proprio consuocero, Esfandiar Rahim Mashaei.
FINE DI UN AMORE – Questa scelta però non piace molto allo Ayatollah Khamenei e l’amicizia tra i due si incrina. Inizia tutta una serie di scaramucce e, tra un licenziamento e una reintegrazione, si arriva all’aprile del 2011, quando la Guida Suprema iraniana fa arrestare alcuni personaggi vicinissimi a Ahmadinejād, tra i quali Mashaei, con l’accusa di stregoneria. Da più parti Ahmadinejād viene ritenuto un fantoccio nelle mani del consuocero, mentre all’estero si va consolidando l’idea che a governare l’Iran, di fatto, sia lo Ayatollah Khamenei. La buona stella sembra, dunque, aver abbandonato Ahmadinejād e ora che i suoi amici religiosi gli hanno voltato le spalle, forse dovrebbe riesumare il proprio cognome originario e comprarsi qualche t-shirt con scritto “I love Israel”.
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