di Valentina Pomatto
Cinafrica – Poco prima di lasciare Bruxelles alla volta del Senegal, un collega mi regalò “Chinafrique”, un libro sulle relazioni politiche ed economiche tra la Cina e l’Africa, fortemente intensificatesi negli ultimi anni. L’ho letto con grande interesse, scoprendo poco a poco la fitta rete di accordi, scambi commerciali, favori, interessi e migrazioni che legano il colosso asiatico al continente africano. Dal libro emergono tutte le contraddizioni della cooperazione sino-africana: la contribuzione allo sviluppo delle infrastrutture e del commercio da un lato e un sostanziale sfruttamento delle risorse e un annichilimento dell’imprenditoria locale dall’altro.
Anche in Senegal, come negli altri paesi del continente, la presenza cinese è massiccia, seppur non sempre evidente. Così come in Europa, la comunità cinese rimane chiusa in se stessa, conducendo una vita appartata e mescolandosi difficilmente alla popolazione senegalese. Non risulta pertanto così consueto vedere dei cinesi nelle strade e nei luoghi pubblici, seppur in Senegal si stima siano circa 5.000.
Per percepire la presenza di questa comunità è necessario recarsi sui cantieri delle nuove costruzioni, nella zona portuaria, o in alcuni mercati ormai “colonizzati” dalla produzione cinese a poco prezzo.
Mercanti cinesi alla conquista di Dakar – A Dakar Boulevard Général De Gaulle, noto come Boulevard du Centenaire, ne è l’esempio lampante. Dai primi anni 2000, i negozi gestiti dai cinesi si sono moltiplicati e gli abitanti della zona hanno trasformato le loro case, garage e stanze al piano terra in locali commerciali da affittare ai commercianti asiatici che sono disposti a spendere mensilmente anche 450 euro, una cifra molto elevata se si considera il tenore di vita senegalese.
Mi aggiro sotto il caldissimo sole pomeridiano: una sfilza di borse, scarpe, abiti di tutti i colori e modelli, rigorosamente “Made in China” e spiccatamente orientati a un pubblico africano. I commercianti senegalesi non possono certo permettersi di pagare affitti simili ed espongono quindi all’aperto sul ciglio della strada davanti alle boutique cinesi, rivendendo materiale praticamente uguale. Alcuni di questi venditori ambulanti sono riusciti nel tempo a affittare un negozietto, ma la maggior parte dei locali commerciali è gestita dai cinesi. Mi avvicino alle boutique e chiedo alcuni prezzi; i proprietari cinesi non parlano francese e mi indicano di rivolgermi ai loro interpreti locali. Donne in bubù tradizionale senegalese si lanciano nello shopping sfrenato: i prezzi sono imbattibili e, anche se la qualità non è di certo delle migliori, in un paese dove i salari sono molto bassi la merce cinese trova un ampio mercato.
Non solo commercio: infrastrutture ed energia – Il Presidente del Senegal Abdoulaye Wade e i membri del suo governo hanno effettuato vari viaggi in Cina e il Presidente Jintao si è recato in Senegal nel 2009; queste visite hanno portato alla firma di più accordi tra i due governi per la realizzazione di ambiziosi progetti.
Nel 2010, la Sociétè Nationale d’éléctricité du Sénégal (SENELEC) ha firmato due contratti con la società cinese CMEC: il primo di 33 miliardi di franchi CFA (più di 50 milioni di euro) per l’acquisto di una turbina a gas, il secondo di 36,1 miliardi (circa 50 milioni di euro) per l’estensione della rete elettrica a Dakar e periferia.
Per quanto riguarda le infrastrutture, il Grande Teatro Nazionale che verrà a breve inaugurato a Dakar, è stato costruito dalla Cina con una donazione di ben 14 miliardi di franchi CFA (21 milioni di euro). Un altro contratto, firmato nel gennaio 2011, assegna ancora alla Cina l’esecuzione dei lavori di riabilitazione di undici stadi in Senegal. Simbolicamente, questo contratto è stato firmato nello stadio Léopold Senghor di Dakar, costruito per mano cinese negli anni ’80 e il cui nome originario “Stade de l’Amitié” (stadio dell’amicizia) voleva richiamare l’intesa esistente all’epoca fra i due Paesi.
L’amicizia sino-senegalese è stata interrotta per anni, a seguito della presa di posizione del Senegal a favore di Taiwan che ha portato alla rottura delle relazioni diplomatiche, poi riprese ufficialmente nel 2005.
E dal 2005 ad oggi, “quest’amicizia” è andata via via rafforzandosi per evidenti interessi reciproci.
Una precisa strategia – La Cina punta al Senegal non tanto per l’accesso alle risorse naturali, scarse nel Paese se si escludono i giacimenti di fosfato, quanto piuttosto per assicurarsi una sfera d’influenza a lungo termine nell’Africa Occidentale e per trovare sbocchi commerciali vantaggiosi. Il Senegal non può essere certo determinante per dimensione e popolazione, ma la Cina ne ha bisogno per raggiungere il volume commerciale a cui mira.
D’altra parte il Senegal, storicamente partner di Europa e Stati Uniti, punta strategicamente alla Cina in un’epoca di ridefinizione degli equilibri mondiali segnata dal declino delle “potenze classiche”, per ampliare in tal modo il proprio margine di manovra nella cooperazione.
Sud-Sud e ridurre la dipendenza da un Occidente sempre più instabile. La cooperazione con la Cina si rivela inoltre fondamentale per il trasferimento di tecnologie e di know-how.
La rottura con la Francia – Il libro Chinafrique, di cui scrivevo in apertura, analizza le ragioni dell’allentamento delle relazioni tra l’Africa francofona e la sua ex-madrepatria a favore del nuovo alleato asiatico: “In meno di 10 anni, la Cina è riuscita là dove la Francia ha fallito: ricostruire le infrastrutture, aprire linee di credito e, soprattutto, ridare coraggio”.
Per la vecchia Europa competere con la Cina è dura: ad esempio, il gruppo francese Eiffage stava per vincere la gara d’appalto per costruire un tratto di autostrada di 6 km all’uscita di Dakar, ma la sua offerta di 65 milioni di euro venne battuta nel 2006 da Henan- Chine con una proposta pari a meno della metà di quanto avrebbe richiesto l’impresa francese. Nelle gare d’appalto, le offerte dei gruppi cinesi sono difficilmente superabili.
Prendo la direzione del porto di Dakar, dove nel gennaio 2011 sono state inaugurate più infrastrutture e dove si trova la fabbrica sino-senegalese di trasformazione del pesce nella quale lavorano 500 persone. La Cina è molto interessata alla pesca: non solo perché grande importatrice di pesce, ma anche perché partecipa attivamente allo sviluppo di questo settore economico, a tal punto che la società Sénégal Peche / Sénégal Armement -di diritto senegalese- é filiale della società statale China National Fischeries Association.
Verso sera mi ritrovo nel patio di un hotel del centro città per una pausa con bibita. Si siede al tavolino di fianco un uomo dai tratti asiatici, che soggiorna all’hotel. E’ un giovane ingegnere cinese, che lavora per una conosciuta azienda e da agosto si trova in Senegal per un grande progetto di ingegneria. Ancora non parla francese e non sa per quanto tempo dovrà restare nel Paese. La sera spesso si trova con altri connazionali al ristorantino poco lontano dall’hotel, che offre piatti asiatici a prezzi abbordabili. “La presenza di ingegneri, tecnici e specialisti cinesi sarà utile se davvero ci sarà un trasferimento di competenze, se dalle loro capacità anche i nostri professionisti potranno imparare e trarne il meglio” mi dice un ragazzo senegalese. L’auspicio è che il Senegal, come gli altri paesi dell’Africa, non subisca passivamente l’espansionismo economico cinese ma ne tragga benefici in termini di crescita, di rafforzamento di capacità e, perché no, di incontro.
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