Twitter e le rivoluzioni, i cinguettii della Primavera araba

di Roberto Conti

“Non sono un eroe, sono soltanto abile con la tastiera del computer, gli eroi reali sono quelli in strada”, twitta Wael Ghonim, 30 anni, marketing manager di Google in Medio Oriente e Nordafrica. Rapito dalla polizia e liberato dopo due settimane, si ricatapulta in piazza e scrive un tweet che rimarrà nella storia: “Piazza Tahir è bloccata. Stiamo provando ad arrivare lì. Gli egiziani stanno facendo la storia”.

E ancora, spostandoci in Libia: “Non temo di morire, ma ho paura di perdere la mia battaglia per la libertà della Libia”. L’autore è @Nabbous, una fonte autorevole per centinaia di giornalisti in tutto il mondo, che verrà freddato da un cecchino di Gheddafi mentre riprende le rivolte in presa diretta con un cellulare.

Mentre alcuni eventi nati su internet hanno avuto vita breve, le rivolte nel mondo arabo, trovando linfa vitale nei social network e nella rete in generale, sono passate dal tweet alla street: dal messaggino di 140 caratteri alle strade, dal virtuale al reale.

È vero che la rete ha svolto un ruolo cruciale nel far mature un sentimento di rivalsa sociale soprattutto tra i giovani, ma è anche vero che i regimi hanno saputo organizzare una capillare opera di censura, quando non addirittura di “blackout”, per impedire ai manifestanti di comunicare con l’estero.

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Piazza Tahrir, nel cuore del Cairo, ha visto nascere una rivoluzione che tuttora si coordina e si incoraggia proprio facendo uso di ciò che la rete mette a disposizione. Twitter, Facebook, Youtube, Skype, Flickr, parecchi blog e il network televisivo Al Jazeera sono diventati strumenti, oserei dire “armi”, indispensabili per una nuova generazione di giovani, alfabetizzati e informatizzati.

Twitter, nato appena cinque anni fa, ha assurto il ruolo di agenzia stampa internazionale: un inesauribile archivio di dati e informazioni, spesso anche molto dettagliate e documentate. Quasi tutti i filmati amatoriali che troviamo sui nostri telegiornali, pensiamo solo ai manifestanti uccisi che vengono gettati dai soldati in mezzo all’immondizia, sono stati messi in rete immediatamente dopo la ripresa. I video sono stati pubblicati su Youtube e nel giro di poche ore li abbiamo ritrovati su tutti i telegiornali del mondo. Con queste nuove risorse tecnologiche il compito dei giornalisti professionisti spesso si limita al verificare le fonti e accertarsi che gli autori dei tweet siano attendibili.

Giovanna Loccatelli, con dovizia di particolari, descrive la genesi di alcune rivolte e il loro rapporto con i social network. Citando numerosi tweet estrapolati dalla rete rende bene il clima che anima queste rivolte. Facebook e Twitter sono le nuove armi usate per sconfiggere i regimi. E i dittatori li temono. Cercano di bloccarli, censurarli e, se possibile, di fermare i responsabili.

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A mio avviso è un ottimo libro anche se forse pecca di eccessivo ottimismo. Se è vero che la Primavera araba ha giovato dei social network, è anche vero che bisognerebbe indagare più approfonditamente le cause che hanno portato tante persone così diverse tra loro a scendere in piazza.


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