La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 331 depositata il 16 dicembre 2011, ha dichiarato rimosso il reato di favoreggiamento nell’immigrazione clandestina dall’elenco dei reati per i quali la misura cautelare obbligatoria da adottare è, in presenza di gravi indizi di colpevolezza, la custodia cautelare in carcere; bisognerebbe lasciare ai giudici la possibilità di valutare anche altri tipi di misure cautelari, come gli arresti domiciliari o l’obbligo di dimora.
La pronuncia infatti ha ritenuto illegittimo l’art. 12, comma 4bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dalla legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica).
L’eterogeneità della figura del trafficante (contestualizzabile nell’ambiente della criminalità organizzata internazionale oppure riconducibile a singoli individui o piccoli gruppi che agiscono in maniera non continuativa per varie motivazioni, non ultima la solidarietà nei confronti degli stessi migranti in questione) “non consente di enucleare una regola generale secondo la quale la custodia cautelare in carcere sarebbe l’unico strumento idoneo a fronteggiare le esigenze cautelari”.
Nè tantomeno è concesso appellarsi a “situazioni di allarme sociale correlate all’incremento del fenomeno della migrazione clandestina”. La Consulta ci ricorda, infatti, che “il rimedio all’allarme sociale causato dal reato non può essere annoverato tra le finalità della custodia cautelare, costituendo una funzione istituzionale della pena, perché presuppone la certezza circa il responsabile del delitto che ha provocato l’allarme”.
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