La dicotomia identitaria dei turchi in “Almanya – La mia famiglia va in Germania”

di Rosanna Columella

Mercoledì 7 dicembre è uscito nelle sale italiane Almanya – La mia famiglia va in Germania, il nuovo film turco-tedesco, in patria già campione d’incassi e di pubblico. Il film, diretto da Yasemin Şamdereli e scritto insieme alla sorella Nesrin, racconta le difficoltà di integrazione e comunicazione di una famiglia turca alla scoperta della propria identità. Hüseyin Yilmaz, immigrato in Germania negli anni sessanta, ha lasciato la sua amata patria, la Turchia, per inseguire il sogno di una vita migliore per sé e per la propria famiglia. Qui, con enorme sacrificio e duro lavoro, cresce i propri figli, e quando acquista una casa in Turchia, chiede alla sua famiglia di accompagnarlo. Malgrado lo scetticismo iniziale, la famiglia al completo affronta l’esperienza del viaggio che ben presto si rivelerà un vero e proprio percorso di consapevolezza del presente e di riconciliazione con il passato. Infatti, lungo il tragitto, la famiglia rivive l’esperienza dell’immigrazione tra ricordi e segreti del passato, che minano l’apparente equilibrio della famiglia.

Nelle vicende di questa famiglia rivive l’esperienza dell’immigrazione e del difficile processo d’integrazione della consistente comunità di immigrati turchi che tra gli anni sessanta e settanta scelsero di emigrare in Germania, come lavoratori stagionali, con la prospettiva di un futuro migliore. A richiamare l’interesse dei lavoratori turchi fu proprio la necessità di forza lavoro, indispensabile alla Germania del dopoguerra per lo sviluppo del paese e della propria economia. A partire dal 1961 la Germania concluse con la Turchia diversi accordi commerciali a seguito dei quali, accolse un consistente numero di lavoratori stagionali. Successivamente gli immigrati furono impiegati con contratti permanenti nei settori metalmeccanico, dell’industria pesante e dell’edilizia. Ben presto la comunità crebbe intorno ai principali arterie industriali del paese, attratta dalla prospettiva di un lavoro sicuro, di stabilità economica e di crescita sociale.

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A discapito delle aspettative, negli anni la comunità di residenti di origine turca è diventata una realtà mal assorbita e poco integrata nel tessuto sociale tedesco, al punto che l’integrazione di figli e nipoti tedeschi nati genitori turchi all’interno del tessuto sociale ed economico del paese, rimane tra le principali preoccupazioni e insolute questioni del Governo tedesco. Considerati sin dall’inizio come capitale umano da investire nei settori di bassa manodopera, gli immigrati hanno richiamato a sé le proprie famiglie e hanno cresciuto figli e nipoti chiusi nel proprio isolamento culturale, consci del fatto che non avrebbero mai raggiunto un livello di integrazione e una posizione sociale paragonabile a quella di altri immigrati o cittadini tedeschi. Il processo di conservazione e divulgazione delle tradizioni e dei valori turchi hanno così determinato una crescente frizione tra padri immigrati e figli nati e cresciuti in Germania, educati al rispetto e alla conservazione della propria tradizione.

All’ombra di questa dicotomia identitaria, nasce e si sviluppa un genere cinematografico che darà voce all’inquietudine delle nuove generazioni, la cui identità è sospesa tra tradizione e modernità, tra passato e presente, tra oriente ed occidente. Dalla necessità di creare un’identità nuova e un linguaggio comune che riconcili la nuova generazione con quella dei propri genitori, prende spunto e seguito l’originale avanguardia cinematografica che deve il suo successo europeo al regista turco tedesco Fatih Akin, e al suo film Wegen die Wand ( trad. italiana La sposa turca), con il quale nel 2004 vinse l’Oro d’Oro al festival di Berlino e due premi agli European Film Awards, quello per il miglior film e il premio del pubblico. La prospettiva di Fatih Akin e Yasemin Şamdereli, è quella di una generazione, cittadini tedeschi, considerati stranieri in patria, per i quali non esiste un’identità di riferimento tanto da suscitare un persistente sentimento di estraneamento sia in Germania che in Turchia, verso i propri cittadini e i propri genitori. A garantire il successo di questo genere cinematografico è senz’altro la prospettiva personale, l’occhio di chi ha vissuto sulla propria pelle l’esperienza di dissidio culturale e scontro generazionale.

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Nell’ottica di questa consapevolezza si inserisce il soggetto cinematografico delle sorelle Şamdereli, che con ironia descrivono le difficoltà di convivenza tra le diverse componenti della stessa famiglia, che nonostante le divergenze di pensiero, riesce ad arrivare a destinazione, unita e forte nella consapevolezza delle proprie origini. Se da una parte lo scontro generazionale e il dialogo interrotto tra genitori e figli, la costante ricerca di una propria identità da parte delle nuove generazioni sono temi attualissimi in Germania, d’altra parte la visione che Almanya ci offre è quella di una possibile riconciliazione generazionale, tra tradizione e modernità, il cui presupposto fondamentale la comunicazione e la comprensione tra le parti.

Almanya presentato quest’anno al Festival di Berlino e vincitore del primo premio per la migliore sceneggiatura, ha già convinto il pubblico e la critica tedesca e non mancherà di conquistare anche il pubblico italiano, e in generale quello europeo.

 


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1 Comment

  • Ho visto “La sposa turca” che mi ero perso all’uscita. La narrazione di FATIH AKIN mi emoziona sempre. Consiglio di vederlo prima di “Almaya..”, io l’ho fatto su Ownair.it

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