Dopo quasi 11 mesi di sequestro la petroliera italiana Savina Caylyn è stata liberata. Cinque pirati somali a bordo di un barchino avevano attaccato la nave l’8 febbraio scorso e, dopo un duro scontro, l’hanno sequestrata; l’equipaggio era di 17 indiani e 5 italiani, fra cui il comandante Giuseppe Lubrano Lavadera.
L’obiettivo dei pirati (comandati da Ilyaas, capo del clan Murarsade) era, oltre che puntare alla petroliera, catturare i marinai indiani. Questi rappresentano infatti una merce di scambio per chiedere la scarcerazione di diversi predoni somali fatti prigionieri dalla marina indiana.
Il governo Monti ha chiesto di mantenere la massima discrezione circa i dettagli dell’operazione. Il sito Somalia Report, che a sua volte cita fonti degli stessi pirati somali, parla di un pagamento di 11,5 milioni di dollari. Si ipotizza però che anche la nuova normativa sulla protezione del naviglio mercantile (entrata in vigore sotto il governo Berlusconi, prevede la protezione armata delle navi ed equipara il reato di pirateria a un atto di terrorismo) sia servito da disincentivo al trattenimento degli ostaggi.
A supportare questa idea è stato Orazio Lanza, comandante della Rosalia D’Amato (un’altra petroliera italiana che ha avuto la medesima sorte della Savina Caylyn), secondo il quale la trattativa per la propria liberazione sia stata più rapida anche a causa della nuova legge, che avrebbe avuto proprio l’effetto di un deterrente. Per analogia si potrebbe pensare a un suo ruolo determinante anche nella liberazione della Savina Caylyn.
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