Il “turco” nel grande cinema di Fellini e Antonioni

di Rosanna Columella

Il 20 gennaio del 1920 nasce a Rimini Federico Fellini, tra più grandi registi e sceneggiatori di tutti i tempi. A ricordarcelo è proprio Google che per l’anniversario del suo compleanno, ha omaggiato l’artista, il visionario, con un doodle che ricorda i disegni in carboncino, tecnica con cui regista amava descrivere la sua personale visione della realtà e le immagini più profonde del suo inconscio. Quattro volte premio Oscar, Fellini è universalmente riconosciuto come il regista dell’immaginato e del sognato e il suo aforisma “l’unico realista è il visionario” sintetizza la sua vita di uomo e artista. Per Fellini, infatti, l’onirico è un livello di conoscenza libero, con il quale l’uomo può interpretare la realtà. Attraverso la scelta dei soggetti e dei personaggi cinematografici, il regista esplora l’inconscio e le paure, le debolezze i desideri più reconditi e trattenuti dalla ragione umana e per farlo, sfrutta tutte quelle immagini, convinzioni e credenze comunemente sentite, che infine diventano soggetti e personaggi cinematografici .

Fra le tante paure e debolezze dell’animo umano descritte dal regista, vorrei qui ricordare l’immagine dello straniero, dell’altro che genera paura ed incomprensione, che coincide anche con la figura del Turco e della lingua turca, elementi funzionali che aggiungono tensione alle scene. La Turchia, evoca nell’inconscio delle società occidentali immagini di terrore e splendore esotico, di mistero, paura e sensualità opulente. Un’immagine tradizionalmente condivisa, che si nutre del passato storico, in cui l’Impero ottomano terrorizzava il Mediterraneo e faceva tremare le più solide reggenze europee. A questo scopo, Fellini introduce in una scena del film Satyricon Fellini (1969) dialoghi in lingua turca, che conferiscono pathos ad una scena di per sé già grottesca e carica di mistero ed inquietudine, quale la rappresentazione di un passo dei poemi omerici. Satyricon Fellini è, infatti, un testo cinematografico ricolmo di simbologie oniriche che rimandano alla decadenza del mondo d’oggi, i cui personaggi vivono in un mondo di rovine. Nel film, Fellini mette in scena gli incubi e le perversioni inconfessate della società archetipica e le descrive attraverso una visone fortemente dionisiaca e irrazionale.

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È lo stesso Fellini che in un’intervista di Vivet Kanetti spiega la sua scelta e dà una definizione alla paura che l’uomo occidentale associa alla figura del Turco: “In Italia diciamo per esempio cose turche per indicare cose inaspettate ed incomprensibili per la loro follia, per la loro durezza o asprezza. Usiamo “Mamma li Turchi!” come espressione di terrore. Pensiamo ai Turchi come persone da cui ci possiamo aspettare di tutto, soprattutto sul piano sessuale. Sono percezioni ormai inconsce, cose che proviamo dalla nascita e che sentiremo per sempre, credenze che si nutrono dell’ignoto…Il Turco, per noi, è un tipo da cui aspettarsi di tutto o che ha abitudini inconsuete, uno straniero di cui non ci si può fidare. E anche una visione che viene dal mare. Un personaggio leggendario. Viene da un luogo di lusso e perdizione…come tutto l’Oriente”.

Fellini non sarà l’unico regista italiano, in quegli anni, ad introdurre con la stessa funzionalità, la figura del turco, carica dei suoi significati più tradizionali. È il caso di Michelangelo Antonioni, e del suo capolavoro Il Deserto rosso (1964): nella scena finale, la protagonista Giuliana, disgustata dalla realtà che la circonda e dalla complicità tra amante e marito, fugge terrorizzata, tra il grigio delle nebbie, verso il mare, con l’intenzione di rompere il silenzio che, durante tutto il film, le toglie ogni possibilità di comunicazione. La sua corsa si interrompe alla vista di un marinaio, intento a riporre le reti in barca. L’uomo parla una lingua strana, il turco e il sollievo di quell’incontro svanisce davanti all’impossibilità di comunicazione. I discorsi e gli atteggiamenti incomprensibili del marinaio, la disorientano ancora di più e aggiungono terrore alla paura, tensione alla scena.

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FELLINI SATYRICON di Federico Fellini

IL DESERTO ROSSO di Michelangelo Antonioni


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