Siria, armi ai ribelli: una tutela o un affare?

di Emilio Garofalo

“Penso che sia un’ottima idea”. Sono queste le parole con cui il ministro degli Esteri dell’Arabia Saudita, Saud al-Faisal, ha accolto la proposta di armare l’opposizione siriana, coinvolta, ormai da più di un anno, nei violenti disordini scoppiati nel territorio della Repubblica del Vicino Oriente.

In Siria, i disordini sono cominciati nel febbraio del 2011. I moti dei ribelli, le contestazioni, le piazze: una voce in sordina, quella della protesta siriana, nel “coro” della primavera araba ma che, col passare del tempo, si è distinta sempre più, per la costanza, la durevolezza, la durezza. Ostico, come spesso accade nei confusi percorsi delle rivolte, ricostruirne le tappe. Più semplice riassumerne il senso.

Il popolo siriano ha reagito a decenni di massacri con nuove barricate, proseguite, con un enorme tributo di sangue, sino ai tragici giorni di un altrettanto tragico presente. Un quadro dolente, un affresco di devastazioni e vessazioni imposte da quello che, al di là delle definizioni costituzionali, altro non è che un regime autoritario. Una dittatura “de facto”, la quale, mettendo al bando ogni tentativo d’opposizione, ha dato vita a una protesta che, possiamo dire, nel corso degli anni non si è mai arrestata veramente.

Oltre le barricate, rinchiuso nei palazzi assediati, c’è Bashar al-Assad, “figlio d’arte” di Hafiz, dal quale ha ereditato il comando della repubblica come fosse una successione dinastica. Figura altamente controversa, un tiranno eccezionale, capace di una politica altalenante, artefice di edulcorati momenti di apertura, fasi riformiste, sodalizi con l’occidente.

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Ma anche, come i media hanno – non senza difficoltà e, spesso, pagandone a caro prezzo le conseguenze – documentato, capace di nefandezze assolute, carnefice e autore di massacri per mezzo dei quali ha gestito le rivolte più imponenti che il suo Paese abbia conosciuto.

Con i suoi fallimenti e riprese, con i morti sui cigli della strada e i carri blindati bruciati, con i palazzi in fiamme e i proclami di regime dalla difficile e ambigua comprensione, la rivolta è al centro della discussione degli organismi internazionali.

Ad una recente discussione, tenutasi in Tunisia, hanno partecipano decine di Paesi, tra i quali anche gli Stati Uniti (ma non Russia e Cina) e l’Italia, rappresentata dal ministro degli Esteri Giulio Terzi, con l’obiettivo di monitorare la rivolta siriana e per studiarne le eventuali modalità di risoluzione.

Ed è proprio in questo recente consesso che si è discussa, su proposta di Hillary Clinton, segretario di Stato Usa, la proposta di armare le opposizioni siriane. Un’idea ritenuta sensata e proficua da parte del ministro degli Esteri saudita, secondo cui è necessario “garantire protezione” ai ribelli.

Una decisione che, se da un lato testimonia la vicinanza degli stati esteri ai dissidenti, dall’altro suscita perplessità, a causa della inconfutabile degenerazione, semmai possibile, in una guerriglia ancor più violenta e sanguinaria di quella in corso.

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Non sono tardate, infatti, le polemiche: secondo la televisione di Stato di Damasco, quello della Tunisia sarebbe stato un tavolo di “nemici del popolo siriano”, che avrebbe anteposto la corsa agli armamenti all’invio di soccorsi e aiuti umanitari. Ma, secondo Saud al Faisal, il sostegno umanitario non è sufficiente. L’obiettivo deve essere liberare la Siria dal suo “mattatore” alauita, al-Assad, e proteggere i civili per salvarli dal “bagno di sangue”.

Nella confusa corsa contro il tempo, sono emersi dunque, uno smembramento di posizioni e una lacerazione di punti di vista tra gli stati e gli organismi riuniti attorno al tavolo tunisino. E questo può essere letto come un ulteriore oltraggio a tutti quei civili siriani che, da giorni, mesi, anni, nella loro terra, si svegliano al mattino per combattere, senza sapere se riusciranno a vedere il sole tramontare.

E, altro non potendo fare, aspettano che qualcuno dica, fuori dai confini della Siria, di essersi accorto della loro presenza come martiri ed eroi, sperando anche di non venire uccisi per la seconda volta, dall’ingordigia umana, dalla cattiveria della politica più affarista e dal meschino calcolo di una vigliacca convenienza.


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