di Giuliano Luongo
A poco più di venti giorni dalle elezioni presidenziali in Russia, che hanno visto nuovamente vincitore con un notevole margine – e, per alcuni, con notevoli brogli – l’inossidabile Vladimir Putin, la vita politica del Paese continua a complicarsi non poco. A scompigliare le carte in tavola in maniera più drastica non sembrerebbe però una nuova misura restrittiva presa dal governo, ma qualcosa che va – almeno sulla carta – in senso opposto.
La Duma (il Parlamento russo) ha approvato lo scorso venerdì un decreto che modifica la norma regolante i criteri di formazione di un partito politico riconosciuto: secondo la nuova legislazione, per presentarsi alle elezioni, a un partito non serviranno più 50mila membri iscritti ma solo 500. La legge entrerà in vigore immediatamente dopo la sua pubblicazione.
Pare scontato dire che, di fatto, tale disposizione permetterebbe un accesso molto più semplice alla politica attiva e, in teoria, la formazione di un sistema più proiettivo e dunque democratico: alcuni analisti suggeriscono invece che l’approvazione di una simile legge, in questo preciso momento politico, potrebbe paradossalmente giovare allo status quo del Paese, conducendolo verso un atomismo partitico che difficilmente potrebbe portare molte fazioni a superare lo sbarramento parlamentare – sbarramento che è rimasto invariato al momento dell’approvazione della legge.
Questa apparentemente pessimistica interpretazione ben si sposa, purtroppo, con lo stato di salute del movimento delle proteste di piazza il quale, dopo un notevole successo iniziale, vede una flessione nella partecipazione. Il problema principale del movimento anti-governativo giace sostanzialmente nella sua eterogeneità: le divisioni interne – ideologiche e non – hanno minato, secondo alcuni analisti, la credibilità dell’ampio fronte di protesta. Di certo, una coalizione in cui figurano dei leader di formazione diversa, dal nazionalista-razzista Navalny alle due facce della sinistra estrema Udaltsov e Zyuganov ha scarse possibilità di trasformarsi sia in un partito che in un progetto politico capace di agire con coerenza e concretezza. La possibilità che si formino numerosi micro-partiti, ognuno con una propria agenda e un proprio elettorato restio al compromesso, è molto alta. A prescindere da eventuali prospettive future, Udaltsov ha già promesso un nuovo raduno di protesta per il 5 maggio (e non l’1, come detto in precedenza) per mostrare la forza del movimento, con l’obiettivo di radunare “milioni di manifestanti”.
Sullo sfondo si affacciano altri due importanti attori politici. L’oligarca Prokhorov, dopo il discreto risultato alle presidenziali, ha confermato l’idea di formare un suo nuovo partito proprio subito dopo l’approvazione della nuova normativa. Tale partito tenderebbe ideologicamente alla destra liberale, lontano dunque dalla leadership delle proteste e nemmeno troppo vicino al governo: è doveroso comunque ricordare che le connessioni tra l’oligarca e il Cremlino sembrano molte, a tal punto che si sospetta fortemente che gli verrà offerto un ruolo di spicco al momento della creazione del nuovo gabinetto dei Ministri.
Chiudiamo infine ricordando il ritorno alla “politica attiva” del redivivo Mikhail Gorbachev, atto a rilanciare il suo vecchio Partito Socialdemocratico, chiuso dal 2007 e dal quale egli era già stato estromesso a causa di divergenze insanabili con le altre figure prominenti. Il suo sarebbe un rientro da semplice “coordinatore”, con un coinvolgimento meno diretto che in passato. Resta dunque da vedere come, su tali complesse basi, si evolverà la vita politica e partitica russa nei prossimi mesi.
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