di Emilio Garofalo
Meno di un anno fa, 77 persone morivano in Norvegia. Otto di queste, a Oslo, uccise dall’esplosione di una bomba. Le altre 69, tra cui molti adolescenti, sull’isola di Uotya, freddate da una raffica di proiettili. Una sparatoria, quest’ultima, andata avanti per oltre un’ora.
Una mattanza che devastò il Paese e colpì l’opinione pubblica del mondo intero. La più grande azione terroristica accaduta in Norvegia, dai tempi della Seconda guerra mondiale. Oggi, a nove mesi di distanza da quel drammatico 22 luglio del 2011 , si è aperto il processo a carico di Anders Behring Breivik, il 33enne norvegese reo confesso, fondamentalista cristiano e militante dell’estrema destra conservatrice.
In questa prima fase del giudizio, si dovrà verificare lo stato mentale dell’attentatore al momento del compimento della strage. In un primo momento, Breivik era stato giudicato psicotico e, pertanto, non imputabile. Una seconda perizia, contrapposta alla prima, ne aveva, in seguito, rovesciato il contenuto, attribuendo all’attentatore il pieno possesso delle proprie facoltà mentali.
Questa mattina, l’imputato è entrato in un’ aula del Tribunale di Oslo e ha salutato il pubblico e la corte con un gesto di estrema destra. Subito, ha rivendicato la responsabilità materiale degli attentati, ma non ha inteso attribuirsi quella penale. Il suo, ha dichiarato sorridendo ai famigliari delle vittime presenti in aula, è stato un atto patriottico contro la tirannia marxista europea.
Adesso, saranno cinque giudici a doversi esprimere sulla sua sanità mentale. Cinque giudici, che dallo stesso Breivik non sono stati riconosciuti. Infatti, l’autore di quella che è considerata una delle azioni più violente della storia del terrorismo politico contemporaneo ha disconosciuto l’autorità giudiziaria, attribuendole un fantomatico “mandato da parte dei partiti aperti al multiculturalismo”.
Inoltre, l’imputato, rivolgendosi alla presidentessa della giuria, le ha mosso un’accusa di parzialità, a causa di un’ amicizia che la vedrebbe legata alla progressista Gro Harlem Brundtland, primo ministro di Norvegia negli anni ’80.
Si mantiene intatta, dunque, la lotta ideologica intrapresa da Breivik a favore della chiusura contro ogni forma di multiculturalismo. Un fondamentalismo di stampo nazista, il suo, coltivato attraverso l’odio verso gli stranieri che, a suo dire, invadono la Norvegia, intaccandone il valore, la pulizia e la stabilità.
Un’ideologia che lo ha portato a scatenarsi contro il sistema laburista, e contro ogni forma di apertura verso il mondo islamico. In totale solitudine, stando alle forze di polizia, le quali hanno escluso il coinvolgimento di complici nella realizzazione del duplice attentato.
E oggi, sempre in totale solitudine, ha rivendicato davanti alla Corte di Oslo il suo ideale. E mentre lui ribadiva le sue convinzioni, i sopravvissuti fornivano le loro testimonianze, ovvero i drammatici ricordi della strage, che, tra poco meno di un anno, si spera, vedrà il suo colpevole assicurato alla giustizia. O, nel caso di accoglimento della perizia che ne attesta l’incapacità mentale, rinchiuso a vita in un manicomio criminale.
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