Da oggi il Giappone resta senza energia nucleare. Con la chiusura dell’ultimo dei 50 reattori nucleari in funzione, il Giappone torna a essere un paese denuclearizzato per la prima volta dal 1970 quando a Tokai entrò in funzione il primo reattore nipponico in grado di riproduttore 1000 mW di energia elettrica.
Il fabbisogno energetico giapponese è coperto per oltre un terzo dal nucleare. Per questo, la chiusura di tutte le centrali, dovuta anche alla crisi di Fukushima, fa temere un black out energetico per questa estate, quando ci sarà il picco di consumi legati al caldo.
Dopo il disastro di Fukushima il 70% dei giapponesi si è detto contro il nucleare, a differenza delle autorità e delle forti lobby industriali che premono per l’atomo. Nei prossimi mesi Tokyo annuncerà una nuova strategia energetica, puntando alle energie rinnovabili, finora ferme al 9% della produzione totale.
Se il cambio di energia non trova favorevoli le industrie e la classe politica, non sono dello stesso avviso gli attivisti. “Alcuni politici e qualche esperto di energia nucleare – spiega Tatsuya Yoshioda, uno dei leader dell’Ong Peace Boat – dirà che senza energia atomica la nostra vita non può esistere, ma non è vero. La nostra vita può andare avanti anche senza le centrali atomiche. In Giappone siamo sempre stati particolarmente legati all’energia atomica. Il nostro governo ci ha sempre detto che era sicura ma ci ha traditi”.
“Dopo la guerra – racconta una donna, che fu tra i sopravvissuti di Hiroshima – anche le vittime dei bombardamenti atomici furono a favore del nucleare, perché bisognava riavviare l’economia. Dopo Fukushima, però, ci siamo improvvisamente ricordati di quanto può essere distruttiva”. Ufficialmente l’ultimo impianto atomico giapponese, a Tomari, sull’isola di Hokkaido, chiuderà per manutenzione per 70 giorni. In realtà, il suo futuro è incerto e non si sa se e quando il governo nipponico darà l’assenso alla sua riattivazione.
Luca La Gamma
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