“L’inferno in terra”, l’esperienza di Kaileh nei carceri siriani

di Francesco Caselli

E’ un giornalista palestinese, è stato incarcerato in Siria per quasi tre settimane ed ha descritto i centri di detenzione siriani come “macellerie umane”. Ha raccontato come gli agenti di sicurezza picchiavano con bastoni i detenuti, costretti a dormire stipati in celle puzzolenti e legati nei letti.

Salameh Kaileh, 56 anni, è stato arrestato il 24 aprile con l’accusa di aver stampato volantini che chiedevano le dimissioni del presidente Assad. Lo hanno prelevato dal suo appartamento di Barzah, in un quartiere di lusso di Damasco poco dopo la mezzanotte e lo hanno portato in uno degli uffici dei servizi dell’Aeronautica della capitale.

“Mi hanno ammanettato e bendato, hanno preso i miei tre computer portatili, telefoni cellulari e ogni brandello di carta su cui riuscirono a mettere le mani. Ho detto loro che non avevo niente a che fare con i volantini, ma gli addetti agli interrogatori hanno insistito sul fatto che erano stati informati riguardo la mia complicità nella stampa dei volantini”.

“E’ stato vivere l’inferno sulla terra” ha raccontato Kaileh all’Associated Press domenica, quasi una settimana dopo che le forze siriane lo aveva rilasciato e portato in Giordania. A casa di un suo amico nel sobborgo di Amman, Kaileh ha mostrato i lividi sulle gambe, dicendo che erano il risultato delle percosse con bastoni di legno tempestati di spine e chiodi.

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“Pensavo di morire a causa dei brutali pestaggi da parte degli agenti che per interrogarmi mi legavano a corde appese al soffitto” ha detto Kaileh. Uno degli addetti agli interrogatori, ha sottolineato Kaileh, gridava insulti contro i palestinesi. Di notte invece diceva di sentire gli altri detenuti gridare mentre venivano picchiati.

Alcuni giorni dopo, Kaileh è stato ricoverato in un ospedale governativo per curare le ferite alla gambe. Ma lì le condizioni erano peggiori che nei centri di detenzione. Kaileh ha detto che è stato stipato dentro una piccola stanza con altri 30 prigionieri, per lo più attivisti che avrebbero partecipato a proteste anti-governative.

“La camera era appena sufficiente per ospitare cinque persone” ha detto. “Il posto puzzava ed era pieno di sporcizia, urina e feci. Due persone condividevano un piccolo letto ed erano legati tra loro; il cibo era scadente e non abbiamo potuto mangiare bene perché le nostre mani e i nostri piedi erano ammanettati giorno e notte”. “Non ci era permesso andare in bagno” ha detto “eppure venivano picchiati se urinavamo nel nostro letto”.

Nato a Birzeit, nel West Bank, Kaileh ha sofferto prima sotto il regime di Damasco.  E’ stato incarcerato dal governo siriano nel 1992 per otto anni a causa di presunti legami con i gruppi d’opposizione comunisti e di sinistra. Ora, Kaileh è stato detenuto in almeno quattro carceri dopo che le forze di sicurezza lo hanno arrestato prelevandolo dalla sua abitazione a Damasco, dove ha vissuto per più di 30 anni.

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La storia di Kaileh la conosciamo perché una volta liberato e arrivato in Giordania ha deciso di divulgarla attraverso i media e Amnesty International. Una storia che fa eco alle migliaia di storie non ancora raccontate di migliaia di uomini arrestati negli ultimi 15 mesi dal regime di Assad. Almeno 350 persone sono morte in carcere dopo essere state torturate. Mentre il totale delle persone uccise in Siria è di 9200, nonostante le continue denunce da parte dell’Onu.


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