Fotografie di Theo Volpatti/contrasto
Il nome Mongolia evoca da sempre immagini esotiche: l’indomito condottiero Genghis Khan, le carovane di cammelli che attraversano il deserto del Gobi e i cavalli selvaggi che galoppano nelle steppe. Persino oggi alcuni angoli della Mongolia sembrano luoghi fuori dal mondo e dalla storia: allontanandosi dalla capitale Ulaan Baatar si ha l’impressione di essere catapultati in un altro secolo. Gli eventi storici degli ultimi vent’anni hanno per gran parte ridisegnato i confini storico-culturali del paese. Dopo la caduta del comunismo, la Mongolia è stata abbandonata a se stessa ed è caduta in una profonda crisi economica. A partire dal 1990 scioperi della fame e manifestazioni di massa in favore della democrazia si sono susseguite a ritmo intenso e hanno portato, nel 1996, alla schiacciante vittoria della Coalizione Democratica che ha messo fine a 75 anni di ininterrotto regime comunista. I governi successivi hanno tentato di attirare investimenti esteri e di attuare una politica di riforme e privatizzazioni basata sul modello occidentale, ma la soglia di povertà del paese è ancora alta, nonostante gli aiuti internazionali abbiano in parte alleggerito la pesante situazione economica. Nel 1997 la Mongolia è entrata a far parte dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio, ma ciò non è bastato ad evitare l’aumento di miseria e carestia su vasta scala: tante fabbriche hanno chiuso, i salari si sono ridotti mentre il costo della vita è aumentato. La Mongolia è un paese povero, con un reddito pro capite di circa 450 $ l’anno.
L’attenzione di Volpatti è stata catturata dagli aspetti sociali della capitale mongola: povertà, violenza e alcolismo. In particolare quest’ultimo è diventato la piaga più spaventosa, tanto da causare il boom del fenomeno dei bambini di strada. Esso è strettamente collegato all’acolismo in quanto molti bambini, per sfuggire ad abusi di familiari alcolizzati, scelgono di vivere in strada, o nei sotterranei della città, ricorrendo alla criminalità o alla prostituzione minorile per provvedere al loro sostentamento e cadendo spesso nel tunnel dell’alcool, proprio ciò da cui stavano fuggendo. L’obiettivo del fotografo ha catturato le stazioni di polizia, in cui gli alcolizzati vengono trattenuti fino a che non superano gli effetti dell’alcool, i centri di riabilitazione gestiti dallo stato, in cui vengono ricoverati quegli alcolisti che sono stati fermati più volte dalla polizia che, dopo quattro detenzioni, può decidere di mandare gli alcolizzati ai lavori forzati, nonché la prigione di Baganur, nella quale i detenuti che lavorano vivono separati da quelli che non svolgono attività lavorative.
Il viaggio di Theo Volpatti ci porta alla scoperta di una nazione che, seppur schiacciata tra due giganti, quali Federazione Russa e Cina, è riuscita a salvaguardare la propria autonomia e a mantenere le tradizioni più antiche. Le immagini del reporter hanno colto in particolare un aspetto diverso della Mongolia, il suo lato oscuro, quello meno poetico e leggendario.
*Theo Volpatti è nato nel 1977 in Valtellina, nel Nord Italia. Si trasferisce a Milano per seguire l’Università presso il Politecnico. Nello stesso periodo inizia ad approfondire il suo interesse per la fotografia e a seguire dei corsi presso l’Istituto Europeo di Design.
Nel 1999 si trasferisce a New York dove, due anni dopo, termina gli studi con una specializzazione in fotografia presso il Fashion Institute of Technology.
Nel 2004 ha ricevuto il premio Marco Pesaresi e nel 2005 ha collaborato al film project “Looking for Alfred” diretto dall’ artista belga Johan Grimonprez. Il lavoro di Volpatti, pubblicato su riviste internazionali, si concentra principalmente sulle questioni sociali, con un senso forte attivista. Dal 2004 fa parte dell’agenzia Contrasto. Attualmente lavora e vive a Brooklyn.
www.theovolpatti.com
Rubrica a cura di Teodora Malavenda
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