Il 25 luglio c’è stata una grande vittoria per i popoli nativi: la Corte interamericana dei diritti umani ha stabilito che l’Ecuador ha violato il diritto della comunità Sarayaku ad essere consultata, all’identità culturale e alla proprietà comune dei terreni. Tutto iniziò nel decennio scorso, quando una compagnia petrolifera venne autorizzata a introdursi nelle terre dei Sarayaku senza però informarli. La Corte ha giudicato lo stato ecuadoriano responsabile di aver posto a rischio la vita e l’integrità fisica della popolazione indigena a causa della collocazione, da parte della compagnia petrolifera, di 1400 chili di esplosivo sul loro territorio.
Fernanda Doz Costa, ricercatrice sui diritti economici, sociali e culturali nelle Americhe di Amnesty International ha dichiarato: “Questa sentenza, che avrà conseguenze positive in tutto il continente americano, rende chiaro che gli stati hanno l’obbligo di svolgere consultazioni ad hoc, prima di essere coinvolti in progetti di sviluppo che avranno un impatto sui popoli indigeni e sui loro diritti. Queste consultazioni, spiega la Corte, dovranno essere fatte in buona fede, secondo procedure culturalmente adeguate e con l’obiettivo di raggiungere un consenso. L’esplorazione o l’estrazione delle risorse naturali non può aver luogo a spese dei mezzi di sopravvivenza fisica e culturale dei popoli nativi sulle loro terre”. La sentenza arriva in un momento delicato in cui ai popoli nativi viene negato il diritto di essere coinvolti in decisioni che molto spesso hanno effetti devastanti per la loro sopravvivenza. Amnesty International e i Sarayaku hanno realizzato il documentario “I discendenti del giaguaro” (qui il trailer).
Sono inoltre 19 i miliardi che la compagnia petrolifera Chevron dovrà pagare ai cittadini dell’Ecuador per i danni ambientali provocati alla foresta amazzonica. Secondo la compagnia, però, l’Ecuador non ha giurisdizione sul caso. Così sono state intentate anche altre cause in Brasile e Canada. “Noi, che rappresentiamo le comunità amazzoniche – spiega l’avvocato Juan Pablo Saez – siamo davvero soddisfatti che la corte abbia fissato la somma che la compagnia deve pagare, tenendo conto della compensazione ambientale e della sanzione morale visto che la compagnia non ha chiesto scusa alla gente dell’Ecuador”
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