Nell’inferno di Leros, il manicomio dove non esisteva dignità – Il ritorno

Ultima puntata del diario di Maurizio Costantino da Leros, l’isola greca che ospitava l’omonimo ospedale psichiatrico. A seguito di una risoluzione dell’Ue, negli anni ’90 l’istituto ha conosciuto una profonda riforma, grazie all’intervento degli operatori internazionali. Fino ad allora, Leros era un’inferno e la dignità degli internati veniva letteralmente annullata. Si conclude un viaggio epico nella profonda umanità di Vassili e degli altri internati (qui le precedenti puntate del reportage).

(c) Alex Majoli / Magnum Photos

Trieste, maggio 1998

Vassili è stato al suo villaggio, due volte. Ha rivisto le pietre e le persone. Ha stupito tutti ricordando nomi e fatti. Non ha potuto, o saputo o voluto, riavvicinarsi a sua sorella ed a suo fratello che vivono nella vecchia casa di famiglia. O meglio, nella unica stanza, in mezzo alla quale hanno innalzato un muro di separazione. Lui, da sempre inabile, vive dell’aiuto dei paesani. Lei, dopo trent’anni ad Atene tra la strada e l’ospedale psichiatrico, si è rifugiata al villaggio e ne vive ai margini sociali.

Non è stato possibile garantire una presenza dei servizi di salute mentale che accompagni il reinserimento di Vassili, e neanche attivare una pensione. Il sindaco, ex compagno di scuola di Vassili, ha tentato, senza successo.

Tra il primo ed il secondo viaggio al villaggio, Vassili:

  • Ha portato un paio di scarpe comprate ad Atene al suo amico Helias, nel reparto B1: Helias pare proprio l’opposto di Vassili, tanto appare vulnerabile e dipendente. Le scarpe sono un regalo prezioso, come oggetto e come segno. Il Vassili che ritorna dal viaggio e che vuole subito rientrare per stare con i pedià (“i ragazzi”), fa risaltare una qualità di relazioni tra tutti gli internati assolutamente altra da quanto ho mai conosciuto. Penso che è la qualità delle relazioni tra i prigionieri. Questi uomini hanno dovuto e saputo far incontrare violenza ed amore.
  • Ha raccontato a tutti gli altri del suo viaggio; nel salone, per una volta riempito di emozioni esplicite, altri hanno pensato: “E io?”, e qualcuno lo ha detto, e le storie di ciascuno ricominciano ad essere un diritto.
  • Ha cominciato a raccontare. Per esempio: aveva sedici anni e portava da mangiare ai partigiani, in montagna. Poi lo chiamano nell’esercito regolare e viaggiando in jeep salta su una bomba messa dai partigiani! Ma non racconta molto, e nessuno insiste per saperne di più.
  • Ha chiesto di incontrare, ed ha parlato, con il Presidente del Consiglio di Amministrazione dell’Ospedale. Da solo.
  • E’ andato a vivere in una casa di campagna, con altri cinque vecchi internati; i vicini sono contadini e la festa di inaugurazione, che li ha visti coinvolti ed organizzatori, è stata una vera festa greca.
  • Dopo un aspro scontro verbale per la strada, con un vecchio infermiere, è stato sottoposto ad una terapia farmacologica che lo sconvolge: “den borume!” – “non ce la faremo! Non possiamo!”, mi dice, allo stremo delle sue forze. Ed invece, la rete di rispetto ed amicizia è grande e, pur non riuscendo ad ottenere la riduzione dei farmaci, accompagna Vassili attraverso questo rigurgito istituzionale.
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Si muove da solo nell’isola, ha i suoi punti di riferimento, case che per lui sono sempre aperte e nascondigli dei suoi beni. Torna ogni tanto in visita al B1, ed il suo sguardo pieno di compassione, ci dice quanto c’è ancora da fare.

Dopo il secondo viaggio

Vassili ha deciso di restare a vivere a Leros. Ad ognuno di noi è dato un solo passato. A Vassili, ed ai moltissimi altri di Leros, solo quel passato. Sono tornato un paio di volte a Leros in questi anni. E come me, altri operatori sono tornati e tornano a Leros. Avvinti anche da una natura dolce e selvaggia, allusiva e prepotente come il vento d’oriente che la spazza. Immagino, so, che anche altri come me sentono la profondità che Vassili e molti altri ci hanno consentito di toccare. Per una volta, una consapevolezza limpida della nostra umanità.


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