Nell’inferno di Leros, il manicomio dove non esisteva dignità – parte 4


Maurizio Costantino
 racconta ciò che ha visto con i suoi occhi a Leros, l’isola greca che ospitava l’omonimo ospedale psichiatrico. A seguito di una risoluzione dell’Ue, negli anni ’90 l’istituto ha conosciuto una profonda riforma, grazie all’intervento degli operatori internazionali. Fino ad allora, Leros era un’inferno e la dignità degli internati veniva letteralmente annullata. (Qui la precedente puntata del reportage).

Alex Majoli / Magnum Photos

Atene, sabato 2 marzo 1993 ( per Vassili 23 anni dopo)

Siamo sbarcati dalla nave che ci ha portato al Pireo, da Leros, alle otto di mattina. Vassili, Lianna, Iannis (con sua moglie) ed io. Abbiamo preso due stanze all’albergo “El Greco”, a due passi da piazza Omonia e siamo subito usciti. Tuffati nel grande bazar che a quell’ora sta prendendo vita, soprattutto in Athinas Odòs, la via del nostro albergo.

Neri che vendono – parlando greco, naturalmente – foulards firmati ed impianti hi-fi; cittadini ex sovietici con un obiettivo Zeiss, una chiave inglese, un orologio, un distintivo di Lenin in mostra su un tappetino; donne vestite tutte di nero, bambini e sigarette, orologi, occhiali da sole, giacche di pelle… camminiamo lì in mezzo, guardiamo, ci guardiamo, guardiamo Vassili, che si muove come se fosse sempre stato lì.

Osserva e, per alcuni minuti fermo davanti una vetrina, sfiora con la mano dei passanti: un uomo, una vecchia, un ragazzo, una signora. Qualcuno di loro se ne accorge e si volta, interrogativo. Ma lo sfiorare è stato così discreto, leggero, non invadente…….. nessuno protesta. Contatto. Non avevo mai visto Vassili fare una cosa del genere e mai più, in seguito, gliela avrei vista fare.

Persone e traffico ci avvolgono sempre di più. Lianna è di Atene e ci è abituata, Iannis e sua moglie escono per la prima volta della loro vita da Leros. Poi uno, due giri per piazza Omonia. Si passeggia, quasi mani dietro la schiena.

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Vassili guarda, osserva, si ferma e guarda, osserva. La vita è intensa attorno a noi, ma per noi è come se fossimo fuori dal tempo. Ciò che conta è Vassili, questo suo rientro in un mondo che è tanto cambiato. Dove tutto è diverso, ma forse allo stesso tempo riconoscibile, nel via vai, nei rumori, nel miscuglio di razze, storie, sguardi.

E Vassili ha questa qualità di esserci, pienamente, a contatto appunto, e di non sembrare invaso, disturbato. Non un gesto, non una parola che segnalassero un disagio, una paura, una distanza. Poi, forse per rispondere alla nostra ansia di operatori sul come trascorrere il tempo, una proposta:

“Vassili, che ne direbbe di trovare un barbiere e farsi radere?”.

“Mio fratello è barbiere, qui ad Atene.”

“…???……..ricorda dove?”.

“Certo!”.

“……..e, saprebbe andarci?”.

“Certo! Andiamo, andiamoci.”

Siamo sorpresi, molto sorpresi, andiamo: guidaci Vassili! Eccitati, attenti attraversiamo Atene. Vassili procede deciso, decisissimo, parla di una piazza proprio vicino al negozio del fratello. Lianna conosce la via, ma è a Vassili che spetta andare avanti. Vassili davanti, noi quattro dietro. Poi ci perdiamo, Lianna si ferma a chiedere indicazioni, perdiamo lei… ma troviamo la piazza. Torniamo un po’ indietro, ritroviamo Lianna, e Vassili riparte, ed Iannis ha un sorriso esterrefatto. Una piccola via, Vassili si ferma davanti ad un negozio. Di ferramenta. Ancora su e giù per la via. Ma no, era proprio lì. Ed allora Lianna e Vassili entrano in quel negozio e chiedono. Si, c’era un barbiere, fino a quattro anni prima, proprio lì, ma è andato in pensione. Sa niente del barbiere? questo è il fratello e non si vedono da tantissimo, vorremmo trovarlo. No, niente, provate a chiedere al Cafè-nio, un po’ più in giù.

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Ci andiamo ; sulla porta, chiudendo la porta un giovane handicappato: no suo padre non c’è, il caffè è chiuso, non sa niente di barbieri. Allora ci ritroviamo tutti in mezzo la strada. In un momento sospeso. Da una parte il proprietario del negozio di ferramenta ci chiama dentro, e dall’altra quello del Cafe-nio, avvisato dal figlio, anche lui ci chiama. Era un po’ perplesso il primo, ma ci ha ripensato e ci da il numero di telefono del fratello di Vassili, ed il secondo, nello stesso istante ci sta dando l’indirizzo! Proviamo a telefonare dal negozio del primo, ma non risponde nessuno. Allora, per salvarci dalle emozioni decidiamo di andare a pranzo e di chiamare dal ristorante.

Emozioni? Iannis non crede a ciò che ha visto: la memoria di Vassili, trent’anni dopo, in questa Atene per lui misteriosa e caotica… Dal ristorante Lianna telefona. Si lo ha trovato questo fratello! appuntamento in albergo alle 16.30! era sorpreso, incredulo, forse intimorito ed è per questo che viene lui in albergo e non Vassili a casa sua… L’incontro avverrà nella stanza più bella, due poltroncine ed un tavolino, un caffè e, di noi, solo Lianna sarà presente.

Puntuale il fratello arriva e meno di dieci minuti dopo Lianna ci annuncia che vanno tutti e tre a casa. Torneranno tre ore dopo. Lianna stremata, Vassili imperturbabile. Ha i capelli tagliati e la barba rasata. E’ così che è andata, sembra un film a sentirlo raccontare: Vassili in poltrona ed il fratello che, parlando, lo rade e gli taglia i capelli. E lunedì, dopodomani, il ”fratello ritrovato” andrà al villaggio anche lui!

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E ci prepariamo per uscire, che è sabato sera e siamo ad Atene! Vassili indossa la sua giacca viola di panno, ma con le falde l’una sull’altra ed infilate nei pantaloni. Al posto della cintura una fettuccia , viola. Una cravatta intonata. La giacca, così indossata, sembra un bolero e Vassili, potrà forse apparire stravagante, ma è senz’altro elegante, e lui lo sa. O meglio, il suo curare il vestirsi è qualcosa di più, è identità, mi pare.

Così usciamo – e c’è ben poco che possa stupire un ateniese – e passiamo la serata in una Ouseria (da “ouzo”, alcolico locale a base di anice). Ce le godiamo, ognuno di noi a modo suo. Io mangio e bevo. Vassili, parco di queste cose, sbocconcella dandoci quasi le spalle, ascoltando attentamente la conversazione di due nostre vicine, scrutando apertamente le due ragazze dal fittissimo parlare, che non lo hanno – per tutto il tempo – né ignorato né integrato.

Continua…


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