Cantarono la loro “preghiera”, una canzone punk rock, a Mosca, sull’altare della Cattedrale di Cristo Salvatore, una chiesa ortodossa che, nel suo angolo più sacro, può ospitare solo riti e celebrazioni liturgiche. Le “Riot Pussy” si rivolsero, intonando al cielo la loro canzone, alla “Santa Madre Beata Vergine”, pregandola di “cacciare via Vladimir Putin”, presidente della Federazione russa in carica.
La presunta blasfemia del gesto è costata alla band femminista moscovita l’incarcerazione preventiva: prima ancora che potesse essere fissata la data del processo, tre componenti della band, le artiste russe Maria Alyokhina, di 24 anni, Nadezhda Tolokonnikova, 22, e la 29enne Yekaterina Samutsevich erano già finite in cella.
Stando alle dichiarazioni rilasciate dal capo del Governo Dmitri Medvedev, le Riot Pussy, in altre zone del Paese, avrebbero potuto ricevere punizioni molto più severe: “In certe condizioni politiche, tale attività avrebbe potuto finire molto tristemente per quelli che agiscono dentro le mura di una chiesa” – ha spiegato il premier.
Oggi, intanto, si è aperto il procedimento a carico delle tre giovani imputate (due delle quali già madri di figli piccoli, che non vedono dall’inizio della detenzione) accusate di vandalismo, aggravato dall’istigazione all’odio religioso. Nella prima udienza, dopo le introduzioni di rito, si sono dichiarate non colpevoli, rigettando tutte le accuse e rivendicando la propria innocenza: il loro sarebbe stato soltanto un gesto di protesta e dissenso, in perfetto stile punk.
Un gesto per cui, però, le musiciste hanno subìto una severa punizione: sei mesi di carcere preventivo, già scontati, dopo essere state additate, dalle autorità politiche, religiose e dalle forze dell’ordine, come “teppiste”. Nel lento susseguirsi della prigionia, sono state rigettate tutte le richieste di libertà su cauzione e la durata della punizione è stata prorogata, la scorsa settimana, di altri sei mesi. Al fianco delle tre detenute, che oggi hanno assistito alla prima udienza del procedimento a loro carico serrate in una gabbia di vetro, si sono schierati alcuni organismi internazionali.
L’Unione di solidarietà con i prigionieri politici (la Spp) e la stessa Amnesty International hanno denunciato l’estrema gravità del trattamento riservato alle artiste dalle autorità russe. Un trattamento punitivo estremo e arbitrario, che è valso loro l’appellativo di “prigioniere di coscienza”, status attribuito a chiunque sia incarcerato e subito dimenticato, abbandonato.
Le accuse mosse alle ragazze della band autrici dell’audace gesto sono riassunte in una citazione di quasi 3mila pagine. Una dettagliata argomentazione della loro presunta empietà, che, se accolta dall’organo giudicante, potrebbe portare all’emanazione di una pesante condanna: le Riot Pussy rischiano fino a sette anni di carcere.
Il caso di Maria, Nedezhda e Yekaterina sta scuotendo le coscienze del paese, dividendole. Si contano a milioni i russi impegnati a seguire, tramite gli organi di stampa e i siti internet, la vicenda giudiziaria. Da un lato, gli integralisti ortodossi offesi dal gesto e dall’impudicizia osata dalla band, tutti schierati, con i conservatori politici, a favore della sentenza di condanna: la profanazione della Cattedrale e del suo altare deve, a loro dire, essere punita magistralmente.
Fermamente contraria all’ottusa rigidità degli “inquisitori” tutta la compagine liberale russa, tra le cui fila si distinguono i commissari degli osservatori sui diritti umani e gruppi di artisti (anche qualche nome importante, tra questi Sting e la band statunitense dei Red Hot Chili Peppers) e intellettuali. Tutti, invece, impegnati a invocare, insieme con gli stessi fan del gruppo punk, la scarcerazione delle musiciste. Migliaia di cittadini divisi che rimangono, proprio come le giovani detenute, in attesa della sentenza.
Emilio Garofalo
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